08-11-2018
Intervista ad Alfredo Ferraresi, Direttore Supply Chain di BAULI SPA
Intervista ad Alfredo Ferraresi, Direttore Supply Chain di BAULI SPA
Intervista ad Alfredo Ferraresi, Direttore Supply Chain di BAULI SPA e Head of Operations Bauli India Bakes & Sweets, con la partecipazione di Claudio Zuccolotto, di CHAIN ACCENT
La presente intervista intende approfondire le risposte fornite da Bauli alla ricerca avviata da Logistica Management a giugno 2018, con il supporto di Marco Lauro Bonomi, di Chain Accent, e di Enrico Camerinelli, di AITE Group, dal titolo “I manager italiani della supply chain e l’innovazione di processo”, finalizzata sostanzialmente a definire l’idea di innovazione nella supply chain italiana. L’indagine è tuttora in corso; chi volesse proporre la sua partecipazione può scrivere a marketing@editricetemi.com
Logistica Management: Cominciamo dal tema che ci sembra più urgente: nella Supply Chain in generale, fra i maggiori ostacoli che rallentano il processo di innovazione, lei cita un difetto di competenze e la resistenza al cambiamento. Quali dimensioni ha questo problema?
Alfredo Ferraresi: Il tema in effetti è aperto, ma la questione è molto più ampia. La supply chain in generale ha il compito di essere costantemente evolutiva. L’evoluzione è il punto cardine del nostro lavoro: in caso contrario, non solo avremmo disatteso il significato del termine, ma faremmo rischiare alla nostra azienda di perdere il suo mercato. Questa è la missione per la quale siamo assunti e sulla quale siamo misurati dai nostri Capi Azienda: dobbiamo valutare continuamente l’introduzione di progetti innovativi e migliorativi, e se così non fosse, saremmo chiamati a risponderne. Dunque l’innovazione è il compito che il nostro top management ci ha assegnato. In particolare noi di Bauli negli ultimi quindici anni abbiamo fatto un percorso di crescita molto importante, accompagnato da innovazioni spesso sostanziali.
LM: Dunque chi o che cosa ha rallentato, o comunque si pone in modo da ostacolare questo processo?
AF: Io direi che c’è una naturale resistenza al cambiamento, dovuta al tempo necessario affinché una nuova cultura cominci a circolare pienamente fra le persone. A mio avviso questo fenomeno è presente in tutte le aziende: è naturale che non tutti siano pronti a buttarsi subito nella novità, c’è una sorta di inerzia da superare, ma il percorso dell’innovazione deve comunque andare avanti: e se ben impostato, sicuramente saprà superare questi rallentamenti senza farne un dramma. Il nostro compito è realizzare l’innovazione in tutti i suoi aspetti, affrontando tutti gli ostacoli, sia quelli di tipo “hardware”, sia quelli legati ad un naturale cambio di mentalità.
LM: Un altro aspetto che riteniamo strategico in ottica di innovazione è quello della collaborazione. Quali direzioni avete intrapreso: orizzontale o verticale? Quali progetti avete realizzato e con quali risultati?
AF: Tanti parlano di collaborazione verticale, ma pochi la realizzano davvero, perché in realtà è meno ovvia di quanto sembra. Quello che risulta a noi è che le aziende di solito sono più attente all’ottimizzazione interna, anziché alle soluzioni che hanno impatto sulle fasi a monte o a valle. Anche i sistemi informatici aziendali, spesso complessi, non sono d’aiuto. Un esempio è quello del VMI, una classica soluzione di collaborative supply chain. È difficile avviarlo perché ogni fornitore ha un suo sistema informatico, diverso da quello dei suoi clienti retailer, e viceversa. Le interfacce di scambio dati vanno reimpostate in ogni singolo caso: quindi la complessità di fatto aumenta, anziché diminuire. Lo stesso accade con i portali di scarico ai centri distribuzione: sono nati per far collaborare le aziende, ma alla fine i vari retailer scelgono sistemi diversi, e noi, come fornitori, per poter consegnare i nostri prodotti, dobbiamo accedere a cinque-sei portali diversi. Parlo dal nostro punto di vista, ma ad esempio, se la parte “demand” riuscisse a darci maggiori informazioni sulle modalità di preparazione della merce o sul dettaglio di quanto ordinato, soprattutto nel periodo della ricorrenza - ad esempio, le misure dei pallet richiesti per l’area vendita – potremmo personalizzare le consegne al momento più opportuno, semplificando il processo di fornitura. Ma nessun retailer, in ricorrenza, si sente di impegnarsi verso il fornitore con una domanda previsionale dettagliata. In senso verticale collaborare è ancora piuttosto difficile.
LM: In senso orizzontale invece la collaborazione è più facile?
AF: Per noi sì, e non mancano gli esempi. Quello più significativo è nato una quindicina di anni fa, quando nella zona di Verona non era fisicamente facile trovare ampie superfici logistiche in una stessa sede. Bauli invece stava cercando proprio uno spazio logistico di grandi dimensioni, e in unico sito, per non complicare ulteriormente i nodi della rete. La ricorrenza richiede una produzione molto anticipata rispetto alla domanda: nei due mesi precedenti il Natale e nel mese precedente Pasqua è necessario riempire di prodotto un magazzino molto grande, che però rimarrebbe vuoto nei mesi rimanenti. A venirci incontro è stato un provider logistico, che ha messo insieme un importante produttore del settore beverage, con sede a Nogara - una ventina di km da Castel D’Azzano –, con Bauli, “fornendo” un magazzino di circa 60mila mq. E visto che la bevanda fresca si beve d’estate, questo sito offriva una controstagionalità perfetta. In questo caso l’accordo collaborativo è nato in modo quasi naturale, e prosegue tuttora con una mutualità che porta efficienza a tutti i livelli.
Altre collaborazioni interessanti sono quelle che siamo riusciti a stabilire con i nostri fornitori. Torniamo alla produzione per la ricorrenza: se il nostro prodotto finito va fatto in anticipo, il suo pack deve arrivare ancora prima e in volumi sufficienti da coprire l’avvio della produzione, soprattutto nel caso di prodotti cartari con lead time lungo. Per agevolarci, un altro provider logistico ha implementato un magazzino unico, che risulta baricentrico fra i due stabilimenti di S. Martino Buon Albergo e Castel d'Azzano, dove gestisce tutto il packaging per conto nostro. Non solo: in caso di confezioni con lead time più brevi, abbiamo anche messo in atto altre forme di collaborazione. In particolare per l’impianto di Castel D'Azzano, il pack si può ordinare il giorno prima e arriva direttamente in produzione, senza creare stock in alcun punto della catena. I nostri fornitori si sono attrezzati per consegnare non più solo a bilici completi, bensì anche in quantità molto più piccole e più volte al giorno, in base a quella che sarà la produzione della giornata. Chiamando entro le 18 del giorno N-1, i materiali ci verranno consegnati alle 6 e alle 16, attraverseranno velocemente un’area dedicata al cross docking per poi entrare direttamente in fabbrica. Risultato: eliminazione di costi e più efficienza nella supply chain.
La presente intervista intende approfondire le risposte fornite da Bauli alla ricerca avviata da Logistica Management a giugno 2018, con il supporto di Marco Lauro Bonomi, di Chain Accent, e di Enrico Camerinelli, di AITE Group, dal titolo “I manager italiani della supply chain e l’innovazione di processo”, finalizzata sostanzialmente a definire l’idea di innovazione nella supply chain italiana. L’indagine è tuttora in corso; chi volesse proporre la sua partecipazione può scrivere a marketing@editricetemi.com
Logistica Management: Cominciamo dal tema che ci sembra più urgente: nella Supply Chain in generale, fra i maggiori ostacoli che rallentano il processo di innovazione, lei cita un difetto di competenze e la resistenza al cambiamento. Quali dimensioni ha questo problema?
Alfredo Ferraresi: Il tema in effetti è aperto, ma la questione è molto più ampia. La supply chain in generale ha il compito di essere costantemente evolutiva. L’evoluzione è il punto cardine del nostro lavoro: in caso contrario, non solo avremmo disatteso il significato del termine, ma faremmo rischiare alla nostra azienda di perdere il suo mercato. Questa è la missione per la quale siamo assunti e sulla quale siamo misurati dai nostri Capi Azienda: dobbiamo valutare continuamente l’introduzione di progetti innovativi e migliorativi, e se così non fosse, saremmo chiamati a risponderne. Dunque l’innovazione è il compito che il nostro top management ci ha assegnato. In particolare noi di Bauli negli ultimi quindici anni abbiamo fatto un percorso di crescita molto importante, accompagnato da innovazioni spesso sostanziali.
LM: Dunque chi o che cosa ha rallentato, o comunque si pone in modo da ostacolare questo processo?
AF: Io direi che c’è una naturale resistenza al cambiamento, dovuta al tempo necessario affinché una nuova cultura cominci a circolare pienamente fra le persone. A mio avviso questo fenomeno è presente in tutte le aziende: è naturale che non tutti siano pronti a buttarsi subito nella novità, c’è una sorta di inerzia da superare, ma il percorso dell’innovazione deve comunque andare avanti: e se ben impostato, sicuramente saprà superare questi rallentamenti senza farne un dramma. Il nostro compito è realizzare l’innovazione in tutti i suoi aspetti, affrontando tutti gli ostacoli, sia quelli di tipo “hardware”, sia quelli legati ad un naturale cambio di mentalità.
LM: Un altro aspetto che riteniamo strategico in ottica di innovazione è quello della collaborazione. Quali direzioni avete intrapreso: orizzontale o verticale? Quali progetti avete realizzato e con quali risultati?
AF: Tanti parlano di collaborazione verticale, ma pochi la realizzano davvero, perché in realtà è meno ovvia di quanto sembra. Quello che risulta a noi è che le aziende di solito sono più attente all’ottimizzazione interna, anziché alle soluzioni che hanno impatto sulle fasi a monte o a valle. Anche i sistemi informatici aziendali, spesso complessi, non sono d’aiuto. Un esempio è quello del VMI, una classica soluzione di collaborative supply chain. È difficile avviarlo perché ogni fornitore ha un suo sistema informatico, diverso da quello dei suoi clienti retailer, e viceversa. Le interfacce di scambio dati vanno reimpostate in ogni singolo caso: quindi la complessità di fatto aumenta, anziché diminuire. Lo stesso accade con i portali di scarico ai centri distribuzione: sono nati per far collaborare le aziende, ma alla fine i vari retailer scelgono sistemi diversi, e noi, come fornitori, per poter consegnare i nostri prodotti, dobbiamo accedere a cinque-sei portali diversi. Parlo dal nostro punto di vista, ma ad esempio, se la parte “demand” riuscisse a darci maggiori informazioni sulle modalità di preparazione della merce o sul dettaglio di quanto ordinato, soprattutto nel periodo della ricorrenza - ad esempio, le misure dei pallet richiesti per l’area vendita – potremmo personalizzare le consegne al momento più opportuno, semplificando il processo di fornitura. Ma nessun retailer, in ricorrenza, si sente di impegnarsi verso il fornitore con una domanda previsionale dettagliata. In senso verticale collaborare è ancora piuttosto difficile.
LM: In senso orizzontale invece la collaborazione è più facile?
AF: Per noi sì, e non mancano gli esempi. Quello più significativo è nato una quindicina di anni fa, quando nella zona di Verona non era fisicamente facile trovare ampie superfici logistiche in una stessa sede. Bauli invece stava cercando proprio uno spazio logistico di grandi dimensioni, e in unico sito, per non complicare ulteriormente i nodi della rete. La ricorrenza richiede una produzione molto anticipata rispetto alla domanda: nei due mesi precedenti il Natale e nel mese precedente Pasqua è necessario riempire di prodotto un magazzino molto grande, che però rimarrebbe vuoto nei mesi rimanenti. A venirci incontro è stato un provider logistico, che ha messo insieme un importante produttore del settore beverage, con sede a Nogara - una ventina di km da Castel D’Azzano –, con Bauli, “fornendo” un magazzino di circa 60mila mq. E visto che la bevanda fresca si beve d’estate, questo sito offriva una controstagionalità perfetta. In questo caso l’accordo collaborativo è nato in modo quasi naturale, e prosegue tuttora con una mutualità che porta efficienza a tutti i livelli.
Altre collaborazioni interessanti sono quelle che siamo riusciti a stabilire con i nostri fornitori. Torniamo alla produzione per la ricorrenza: se il nostro prodotto finito va fatto in anticipo, il suo pack deve arrivare ancora prima e in volumi sufficienti da coprire l’avvio della produzione, soprattutto nel caso di prodotti cartari con lead time lungo. Per agevolarci, un altro provider logistico ha implementato un magazzino unico, che risulta baricentrico fra i due stabilimenti di S. Martino Buon Albergo e Castel d'Azzano, dove gestisce tutto il packaging per conto nostro. Non solo: in caso di confezioni con lead time più brevi, abbiamo anche messo in atto altre forme di collaborazione. In particolare per l’impianto di Castel D'Azzano, il pack si può ordinare il giorno prima e arriva direttamente in produzione, senza creare stock in alcun punto della catena. I nostri fornitori si sono attrezzati per consegnare non più solo a bilici completi, bensì anche in quantità molto più piccole e più volte al giorno, in base a quella che sarà la produzione della giornata. Chiamando entro le 18 del giorno N-1, i materiali ci verranno consegnati alle 6 e alle 16, attraverseranno velocemente un’area dedicata al cross docking per poi entrare direttamente in fabbrica. Risultato: eliminazione di costi e più efficienza nella supply chain.
LM: Fra le sue risposte si parla di risk management, come tema importante in una supply chain innovativa. Come viene gestito?
AF: Anche in questo caso sento più parole che fatti. Al di là delle norme a cui dobbiamo attenerci, che ci impongono un ambiente di lavoro salubre e sicuro, in termini di safety, la nostra idea di risk management è orientata alla solidità della catena: fornitori, flussi, materie prime e Paesi di provenienza. Dal canto nostro abbiamo processi di controllo dei nostri fornitori mediante continue indagini che verificano il loro profilo dal punto di vista economico, finanziario, gestionale e sanitario, con audit periodici presso il fornitore stesso. Tutto questo ci porta a comporre il grado di pericolo a cui siamo sottoposti e ad elaborare dei piani alternativi per la gestione del rischio: come prevenirlo, certo, ma come affrontarlo nel caso si realizzi. Il classico caso è lo sciopero dei trasporti o la nevicata in ricorrenza: in tali casi parte un piano d’azione già strutturato. Si riunisce subito un comitato ristretto che comincia a valutare e a mettere in pratica le alternative, seguendo tutto lo svolgimento dell’evento. Un disaster recovery operativo, oggi più che mai necessario, con flussi logistici sempre più tesi e dunque sempre più rischiosi.
LM: Un altro chiarimento, tornando agli obiettivi prioritari per l’innovazione. Lei ne indica tre: riduzione dei costi, penetrazione in nuovi mercati, sostenibilità ambientale. Non sono in contrasto l’un con l’altro? Come si può puntare al contenimento dei costi, avanzando investimenti così importanti?
AF: Questi obiettivi devono essere perseguiti tutti, sempre. L’accordo fra questi non è in questione, ma alla fine si scopre che sono molto meno in contrasto di quanto sembra. Cominciamo con la riduzione dei costi: questo è l’obiettivo prioritario del supply chain management. Non faremmo mai bene il nostro mestiere, se non puntassimo continuamente a soluzioni migliorative dal punto di vista economico. Ma guardando bene, scopriamo che ottimizzando i flussi e contenendo i costi, abbiamo anche ridotto i consumi e quindi migliorato l’impronta sull’ambiente. Inoltre, la sostenibilità ambientale non è un obiettivo che riguarda la singola azienda, bensì tutta la sua filiera. E infatti, l’esempio che porto riguarda proprio un progetto di filiera, condotto insieme ad alcuni dei nostri partner, principalmente Number 1 ma anche altre aziende di trasporto. Questi operatori hanno acquistato nuovi veicoli alimentati a gas metano liquido (LNG). Da parte nostra li abbiamo supportati non tanto nell’acquisto tout court, quanto piuttosto instaurando dei rapporti a lungo termine impostati su valori comuni, che sono la base ideale sulla quale si possono poi avanzare determinati investimenti. Questo è stato il nostro contribuito, indiretto sì, ma non per questo meno forte, ad un percorso reale di sostenibilità: i veicoli più efficienti consumano di meno e quindi tutta la filiera risparmia, sia il fornitore che il suo cliente.
Altro caso virtuoso che riguarda ancora Number 1 è l’introduzione della linea robotizzata di creazione e allestimento degli espositori promozionali, che l’azienda ha implementato presso il suo magazzino di Parma. Anziché acquistare il materiale promozionale e farlo viaggiare da un punto all’altro della catena, abbiamo studiato insieme un nuovo processo, nel quale progettazione, costruzione e gestione degli espositori, e del relativo contenuto, avvengono presso un solo punto. Si può facilmente immaginare il vantaggio in termini di efficienza, dalla quantità del materiale ordinato alla riduzione dei trasporti. Il processo, nota bene, è totalmente integrato anche a livello informatico, dove possiamo gestire in modo distinto l’item “croissant” in quanto tale, e l’item “croissant all’interno dell’espositore promozionale”, che sono uguali a livello di produzione, ma non a livello di demand e supply chain. Costi, consumi ed emissioni sono diminuiti in misura sostanziale: e questo è diventato un caso d’uso che ECR ha recentemente pubblicato per diffonderlo come buona pratica in tutta l’industria. Fra riduzione dei costi e aumento della sostenibilità, dunque, non rileviamo alcun divario.
Vediamo invece la penetrazione in nuovi mercati: con questo termine intendevo principalmente un percorso di internazionalizzazione che abbiamo intrapreso già da tempo. Diverso infatti – soprattutto per realtà come la nostra – è parlare di esportazione o di internazionalizzazione. Abbiamo sempre portato i nostri prodotti all’estero, ma solo in percentuale molto piccola. Questa percentuale è raddoppiata da quando, a ottobre 2017, abbiamo aperto un nostro stabilimento in India (di cui peraltro io sono head of operations) per servire tutto il mercato locale nell’area south-east Asia. La fabbrica, che si trova nella Stato del Maharashtra, nei pressi di Bombay, produce essenzialmente croissants ed è una realtà nuova, costruita da zero. Ma il piano industriale è molto interessante e i volumi sono già in crescita. L’obiettivo è quello di incrementare ulteriormente la percentuale delle vendite estere da entrambi i punti di vista: vendite dirette dall’Italia e produzione locale.
AF: Anche in questo caso sento più parole che fatti. Al di là delle norme a cui dobbiamo attenerci, che ci impongono un ambiente di lavoro salubre e sicuro, in termini di safety, la nostra idea di risk management è orientata alla solidità della catena: fornitori, flussi, materie prime e Paesi di provenienza. Dal canto nostro abbiamo processi di controllo dei nostri fornitori mediante continue indagini che verificano il loro profilo dal punto di vista economico, finanziario, gestionale e sanitario, con audit periodici presso il fornitore stesso. Tutto questo ci porta a comporre il grado di pericolo a cui siamo sottoposti e ad elaborare dei piani alternativi per la gestione del rischio: come prevenirlo, certo, ma come affrontarlo nel caso si realizzi. Il classico caso è lo sciopero dei trasporti o la nevicata in ricorrenza: in tali casi parte un piano d’azione già strutturato. Si riunisce subito un comitato ristretto che comincia a valutare e a mettere in pratica le alternative, seguendo tutto lo svolgimento dell’evento. Un disaster recovery operativo, oggi più che mai necessario, con flussi logistici sempre più tesi e dunque sempre più rischiosi.
LM: Un altro chiarimento, tornando agli obiettivi prioritari per l’innovazione. Lei ne indica tre: riduzione dei costi, penetrazione in nuovi mercati, sostenibilità ambientale. Non sono in contrasto l’un con l’altro? Come si può puntare al contenimento dei costi, avanzando investimenti così importanti?
AF: Questi obiettivi devono essere perseguiti tutti, sempre. L’accordo fra questi non è in questione, ma alla fine si scopre che sono molto meno in contrasto di quanto sembra. Cominciamo con la riduzione dei costi: questo è l’obiettivo prioritario del supply chain management. Non faremmo mai bene il nostro mestiere, se non puntassimo continuamente a soluzioni migliorative dal punto di vista economico. Ma guardando bene, scopriamo che ottimizzando i flussi e contenendo i costi, abbiamo anche ridotto i consumi e quindi migliorato l’impronta sull’ambiente. Inoltre, la sostenibilità ambientale non è un obiettivo che riguarda la singola azienda, bensì tutta la sua filiera. E infatti, l’esempio che porto riguarda proprio un progetto di filiera, condotto insieme ad alcuni dei nostri partner, principalmente Number 1 ma anche altre aziende di trasporto. Questi operatori hanno acquistato nuovi veicoli alimentati a gas metano liquido (LNG). Da parte nostra li abbiamo supportati non tanto nell’acquisto tout court, quanto piuttosto instaurando dei rapporti a lungo termine impostati su valori comuni, che sono la base ideale sulla quale si possono poi avanzare determinati investimenti. Questo è stato il nostro contribuito, indiretto sì, ma non per questo meno forte, ad un percorso reale di sostenibilità: i veicoli più efficienti consumano di meno e quindi tutta la filiera risparmia, sia il fornitore che il suo cliente.
Altro caso virtuoso che riguarda ancora Number 1 è l’introduzione della linea robotizzata di creazione e allestimento degli espositori promozionali, che l’azienda ha implementato presso il suo magazzino di Parma. Anziché acquistare il materiale promozionale e farlo viaggiare da un punto all’altro della catena, abbiamo studiato insieme un nuovo processo, nel quale progettazione, costruzione e gestione degli espositori, e del relativo contenuto, avvengono presso un solo punto. Si può facilmente immaginare il vantaggio in termini di efficienza, dalla quantità del materiale ordinato alla riduzione dei trasporti. Il processo, nota bene, è totalmente integrato anche a livello informatico, dove possiamo gestire in modo distinto l’item “croissant” in quanto tale, e l’item “croissant all’interno dell’espositore promozionale”, che sono uguali a livello di produzione, ma non a livello di demand e supply chain. Costi, consumi ed emissioni sono diminuiti in misura sostanziale: e questo è diventato un caso d’uso che ECR ha recentemente pubblicato per diffonderlo come buona pratica in tutta l’industria. Fra riduzione dei costi e aumento della sostenibilità, dunque, non rileviamo alcun divario.
Vediamo invece la penetrazione in nuovi mercati: con questo termine intendevo principalmente un percorso di internazionalizzazione che abbiamo intrapreso già da tempo. Diverso infatti – soprattutto per realtà come la nostra – è parlare di esportazione o di internazionalizzazione. Abbiamo sempre portato i nostri prodotti all’estero, ma solo in percentuale molto piccola. Questa percentuale è raddoppiata da quando, a ottobre 2017, abbiamo aperto un nostro stabilimento in India (di cui peraltro io sono head of operations) per servire tutto il mercato locale nell’area south-east Asia. La fabbrica, che si trova nella Stato del Maharashtra, nei pressi di Bombay, produce essenzialmente croissants ed è una realtà nuova, costruita da zero. Ma il piano industriale è molto interessante e i volumi sono già in crescita. L’obiettivo è quello di incrementare ulteriormente la percentuale delle vendite estere da entrambi i punti di vista: vendite dirette dall’Italia e produzione locale.
LM: Fra le tante voci che abbiamo inserito come “abilitatori per l'innovazione di processo” cita per oggi blockchain e smart contract, che a noi sembrano ancora pionieristici come applicazione nella supply chain; mentre per il domani lascia la robotica, che invece è una realtà sempre più diffusa anche in logistica. Vuole spiegarci meglio il senso di queste risposte?
AF: Certamente. Sulla blockchain in relazione all’oggi, ad essere onesti è più una questione di curiosità, che non di progettualità concreta. Per quanto ne sappiamo, noi e il nostro IT, al quale chiedo di approfondire continuamente questi temi, la blockchain ci consentirebbe uno scambio di dati ancora più strutturato e più solido a livello di filiera. Fra i miglioramenti attesi maggior qualità e miglior tracciabilità, soprattutto nei trasporti: cosa importante, considerando le caratteristiche geografiche del nostro Paese. Un po’ più complesso il discorso dello smart contract, che a noi fa pensare ad una relazione diretta con il consumatore o alle opportunità dell’e-commerce, a prodotti in “edizione limitata” o progetti di marketing molto specifici, soprattutto nel periodo della ricorrenza. Ma sono ancora solo idee, per quanto stimolanti. Invece, il discorso della robotica è molto semplice: non abbiamo i volumi necessari per una gestione “tradizionale” del magazzino, e quindi, non abbiamo una vera possibilità di automatizzarlo. La stagionalità estrema che viviamo in ricorrenza è qualcosa che cambia completamente la situazione. La robotica non è applicabile nella nostra realtà, almeno finché non potremo sposarla totalmente alle nostre esigenze e quindi renderla totalmente flessibile. Va benissimo quindi puntare sulla robotica ma, al momento, secondo me non esiste ancora quella che fa al caso nostro.
LM: Le nuove idee da dove possono arrivare: dalle forze interne, magari quelle provenienti da altre industrie? O anche dai concorrenti?
AF: Con una battuta: dobbiamo essere ottimi copiatori. Sia all’interno, che dall’esterno. Buona parte dei passi avanti compiuti dall’azienda si devono alle buone idee provenienti dalle acquisizioni e di conseguenza all’inserimento di nuovo management da altre aziende. Sicuramente tutte le componenti sono importanti: sia l’esperienza maturata internamente, sia il confronto con manager provenienti da altre industrie, sia il recruitment di giovani con nuove competenze, che vengono assunti proprio con questo intento: contribuire all’evoluzione e al rinnovamento della supply chain. Io poi amo il “metodo del tenente Colombo”: mai fermo in ufficio, sempre fuori a fare domande!
LM: In conclusione, qual è la vostra idea di innovazione? Che cosa potreste indicare come aspetto prioritario?
AF: A mio avviso non si tratta di scoprire chissà quali segreti o brevetti, capaci di rivoluzionare tutto o dare vantaggi competitivi stratosferici. Le procedure e tecnologie in logistica sono prevalentemente note e accessibili a chiunque. La parte sostanzialmente diversa è data dal modo in cui tali soluzioni vengono interpretate, “incastrate” e fatte evolvere all’interno di uno specifico contesto aziendale: è qui che si crea il vantaggio competitivo. Quello che serve è stimolare idee, spunti, curiosità, e anche una sana dose di coraggio di fronte a nuovi passi.
Ecco che anche la soluzione più consolidata diventa innovazione, se la si interpreta alla luce delle effettive esigenze del proprio processo. Posso fare un esempio con le soluzioni per il picking. Le tecnologie vocali per alcuni sono state un’innovazione quasi stravolgente. Le abbiamo provate anche noi, rendendoci conto alla fine che sui nostri processi queste soluzioni quasi non avevano effetto, per le caratteristiche molto particolari del nostro picking. Risultati ben diversi sono arrivati dal ring scanner, il cui contenuto innovativo è indubbiamente pari al voice, ma che si è rivelato molto più adatto al nostro processo. Altro esempio: il kaizen corner, ormai niente di nuovo come metodologia, ma di grande impatto una volta introdotto nei nostri magazzini prodotto finito, dove ha consentito di creare un rapporto molto più strutturato e motivante con il personale, in buona parte costituito da cooperative in appalto. Insomma: anche soluzioni già viste, “vecchie” se rapportate ad altri contesti, diventano “nuove” quando sono messe in pratica dove finalmente consentono di risolvere un problema o rispondono bene ad una esigenza specifica. In sintesi direi che l’innovazione è costante discussione, onesta autocritica, curiosità e apertura verso l’esterno, e fermo obiettivo di miglioramento continuo. D’altro canto, è anche vero che stiamo assistendo ad un progresso reale a livello di mercato: è indubbio che la supply chain di oggi sia diversa da quella di dieci o vent’anni fa. Il mondo è cambiato: e noi vogliamo saper cambiare di conseguenza. Per essere qui oggi, e soprattutto anche domani.
AF: Certamente. Sulla blockchain in relazione all’oggi, ad essere onesti è più una questione di curiosità, che non di progettualità concreta. Per quanto ne sappiamo, noi e il nostro IT, al quale chiedo di approfondire continuamente questi temi, la blockchain ci consentirebbe uno scambio di dati ancora più strutturato e più solido a livello di filiera. Fra i miglioramenti attesi maggior qualità e miglior tracciabilità, soprattutto nei trasporti: cosa importante, considerando le caratteristiche geografiche del nostro Paese. Un po’ più complesso il discorso dello smart contract, che a noi fa pensare ad una relazione diretta con il consumatore o alle opportunità dell’e-commerce, a prodotti in “edizione limitata” o progetti di marketing molto specifici, soprattutto nel periodo della ricorrenza. Ma sono ancora solo idee, per quanto stimolanti. Invece, il discorso della robotica è molto semplice: non abbiamo i volumi necessari per una gestione “tradizionale” del magazzino, e quindi, non abbiamo una vera possibilità di automatizzarlo. La stagionalità estrema che viviamo in ricorrenza è qualcosa che cambia completamente la situazione. La robotica non è applicabile nella nostra realtà, almeno finché non potremo sposarla totalmente alle nostre esigenze e quindi renderla totalmente flessibile. Va benissimo quindi puntare sulla robotica ma, al momento, secondo me non esiste ancora quella che fa al caso nostro.
LM: Le nuove idee da dove possono arrivare: dalle forze interne, magari quelle provenienti da altre industrie? O anche dai concorrenti?
AF: Con una battuta: dobbiamo essere ottimi copiatori. Sia all’interno, che dall’esterno. Buona parte dei passi avanti compiuti dall’azienda si devono alle buone idee provenienti dalle acquisizioni e di conseguenza all’inserimento di nuovo management da altre aziende. Sicuramente tutte le componenti sono importanti: sia l’esperienza maturata internamente, sia il confronto con manager provenienti da altre industrie, sia il recruitment di giovani con nuove competenze, che vengono assunti proprio con questo intento: contribuire all’evoluzione e al rinnovamento della supply chain. Io poi amo il “metodo del tenente Colombo”: mai fermo in ufficio, sempre fuori a fare domande!
LM: In conclusione, qual è la vostra idea di innovazione? Che cosa potreste indicare come aspetto prioritario?
AF: A mio avviso non si tratta di scoprire chissà quali segreti o brevetti, capaci di rivoluzionare tutto o dare vantaggi competitivi stratosferici. Le procedure e tecnologie in logistica sono prevalentemente note e accessibili a chiunque. La parte sostanzialmente diversa è data dal modo in cui tali soluzioni vengono interpretate, “incastrate” e fatte evolvere all’interno di uno specifico contesto aziendale: è qui che si crea il vantaggio competitivo. Quello che serve è stimolare idee, spunti, curiosità, e anche una sana dose di coraggio di fronte a nuovi passi.
Ecco che anche la soluzione più consolidata diventa innovazione, se la si interpreta alla luce delle effettive esigenze del proprio processo. Posso fare un esempio con le soluzioni per il picking. Le tecnologie vocali per alcuni sono state un’innovazione quasi stravolgente. Le abbiamo provate anche noi, rendendoci conto alla fine che sui nostri processi queste soluzioni quasi non avevano effetto, per le caratteristiche molto particolari del nostro picking. Risultati ben diversi sono arrivati dal ring scanner, il cui contenuto innovativo è indubbiamente pari al voice, ma che si è rivelato molto più adatto al nostro processo. Altro esempio: il kaizen corner, ormai niente di nuovo come metodologia, ma di grande impatto una volta introdotto nei nostri magazzini prodotto finito, dove ha consentito di creare un rapporto molto più strutturato e motivante con il personale, in buona parte costituito da cooperative in appalto. Insomma: anche soluzioni già viste, “vecchie” se rapportate ad altri contesti, diventano “nuove” quando sono messe in pratica dove finalmente consentono di risolvere un problema o rispondono bene ad una esigenza specifica. In sintesi direi che l’innovazione è costante discussione, onesta autocritica, curiosità e apertura verso l’esterno, e fermo obiettivo di miglioramento continuo. D’altro canto, è anche vero che stiamo assistendo ad un progresso reale a livello di mercato: è indubbio che la supply chain di oggi sia diversa da quella di dieci o vent’anni fa. Il mondo è cambiato: e noi vogliamo saper cambiare di conseguenza. Per essere qui oggi, e soprattutto anche domani.
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