19-08-2024
di Enzo Baglieri, Associate Dean, SDA Bocconi School of Management
di Enzo Baglieri, Associate Dean, SDA Bocconi School of Management
Quando leggerete questo editoriale sapremo se ho commesso un grave azzardo, se ci ho preso o se, come è molto più probabile, la realtà avrà superato la mia fantasia.
Mentre scrivo, infatti, si dibatte da qualche giorno dell’opportunità del Presidente Biden di ricandidarsi per il secondo mandato. Fino a un paio di mesi fa, nonostante qualche perplessità strisciante, il confronto tra l’ottuagenario Joe e il quasi coetaneo Donald sembrava comunque reggere, perché sebbene il candidato Trump appaia sicuramente più energetico e vitale, l’elettorato americano sembrava riconoscere al Presidente in carica un mandato tutto sommato positivo per l’economia e una resilienza fuori dal comune, che gli deriva dalle origini di uomo comune e da una storia personale e professionale molto complicata. Nelle ultime otto settimane, tuttavia, qualcosa deve essere accaduto e onestamente è impensabile che la principale economia del mondo e la superpotenza di cui tutto l’Occidente riconosce la leadership possa essere guidata da questo simpatico nonno. Gli scenari tra oggi e metà agosto, quando si terrà la Convention dei Democratici sembrano essere tre: la riconferma della candidatura Biden, la rinuncia a vantaggio dell’attuale Vice Presidente e l’entrata in scena di una terza figura, che sia un politico di professione (ad esempio uno dei Governatori degli Stati a guida Democratica) o una rappresentante della società civile che rimette in gioco tutto il dibattito. Qualunque sia l’esito, quello che a noi deve interessare su questa rivista sono le implicazioni di ciascuna delle configurazioni possibili e la maturazione di una consapevolezza di sistema.
Partiamo dalle implicazioni. A questo punto della vicenda, la probabilità che vinca Trump a novembre è altissima. Una seconda presidenza Trump avrà parecchi impatti sulla nostra economia. In primo luogo, Trump vorrà proteggere l’economia americana da tutti, non solo dalla Cina, e l’Europa, che per lui è irrilevante politicamente, sarà la sua prossima vittima. In particolare l’Italia, che conta un avanzo commerciale con gli USA di circa 44 miliardi di dollari e per il quale dobbiamo aspettarci dazi e vincoli all’esportazione di pari portata e violenza di quanto fatto da Biden verso le auto elettriche cinesi. In secondo luogo il nostro Paese verrà marginalizzato, perché Trump bypasserà la UE e dialogherà direttamente con Francia, Germania, Russia e Ungheria, per via dell’amicizia personale con Orban. Nonostante la piaggeria di qualche membro dell’attuale coalizione di governo verso il magnate newyorkese, l’Italia appare ai suoi occhi un ridicolo teatrino di paradossi politici, sociali ed economici. Dovremo, per essere molto franchi, cercare nuovi mercati e probabilmente guardare con molta meno arroganza a Est, anzi al Far East, e a un piano davvero concreto di investimenti per lo sviluppo del Nord Africa che non può essere solo quello che oggi chiamiamo Piano Mattei. In secondo luogo, dovremo creare le condizioni perché affluiscano rapidamente in Italia gli investimenti esteri che non potremo più aspettarci dalle aziende americane, ad esempio della tecnologia, e dovranno invece giungere sempre dal Far East, come conseguenza delle politiche di protezione a nostra volta verso le importazioni dalla Cina, seppure più blande di quelle americane. Potremmo infine osservare una nota positiva: la fine della guerra in Ucraina. Trump non vorrà finanziare infatti un conflitto contro un suo amico e quindi imporrà all’Ucraina di accettare una resa che equivarrà a una sconfitta, cedendo i territori che a questo punto si potevano cedere sin dall’inizio senza il tributo di vite e risorse, e favorirà la ricostruzione del Paese con la propria struttura industriale. Meno chiara è la posizione sul conflitto israelo-palestinese, ma è probabile che invece in quella parte del mondo non gli dispiacerà usare i muscoli e rischiare l’allargamento del conflitto. Comunque vada, è certo che ritirerà larga parte delle truppe americane di stanza in Europa, lasciando il Vecchio Continente sguarnito ed esposto, molto più che in passato.
E se invece vincesse un Democratico? Non sono in grado di aggiungere molto se non che dovremmo aspettarci continuità rispetto al recente passato, ma onestamente, in questa fase, a meno di una candidatura davvero disruptive, sembra uno scenario remoto.
La consapevolezza che dobbiamo però acquisire tutti è che oggi più che in qualunque altro momento storico l’unica vera continuità è quella delle discontinuità.
Qualche settimana fa ci attendevamo esiti a “destra” del voto europeo, ma non certo che in 24 ore il terremoto politico francese obbligasse il Presidente a indire delle elezioni politiche e rischiasse di trasformare in breve la Francia nel Paese più a destra del G7. L’effetto delle elezioni europee non ha nemmeno risparmiato la Germania, oggi un pallido ricordo in quanto a leadership continentale e stabilità interna rispetto a pochi anni, direi mesi, fa quando alla guida c’era Angela Merkel. Le conseguenze della Brexit e la crisi economica e sociale senza precedenti restituiranno tra poche ore il governo inglese dopo quattordici anni ai Labour e a un signore perbene, ma privo di alcun carisma, che si troverà controcorrente a sinistra rispetto all’Europa da cui gli inglesi sono voluti uscire e a cui adesso guardano con rimpianto.
In Europa intanto la politica comincia sempre più a spaccarsi non più tra frugalità del Nord e inefficienze del Sud e nemmeno tra progressismo a Ovest e nazionalismo a Est, ma proprio tra Europa SI ed Europa NO, mentre dei veri temi, come la politica demografica e la gestione dell’immigrazione, la sicurezza e la cybersicurezza continentale, l’autonomia energetica sembra non importare a molti.
Dobbiamo essere preoccupati? Non oltre il ragionevole dovuto, nel senso che possiamo imparare a proteggerci preparando strategie e piani molto più flessibili che in passato e soprattutto confidando che le discontinuità sono una fonte di grande opportunità, perché dove latita la politica l’economia si inserisce e dove mancano le regole nascono nuovi mercati. E, come sosteneva Mao, “grande è la confusione sotto il cielo. La situazione è eccellente!”
Mentre scrivo, infatti, si dibatte da qualche giorno dell’opportunità del Presidente Biden di ricandidarsi per il secondo mandato. Fino a un paio di mesi fa, nonostante qualche perplessità strisciante, il confronto tra l’ottuagenario Joe e il quasi coetaneo Donald sembrava comunque reggere, perché sebbene il candidato Trump appaia sicuramente più energetico e vitale, l’elettorato americano sembrava riconoscere al Presidente in carica un mandato tutto sommato positivo per l’economia e una resilienza fuori dal comune, che gli deriva dalle origini di uomo comune e da una storia personale e professionale molto complicata. Nelle ultime otto settimane, tuttavia, qualcosa deve essere accaduto e onestamente è impensabile che la principale economia del mondo e la superpotenza di cui tutto l’Occidente riconosce la leadership possa essere guidata da questo simpatico nonno. Gli scenari tra oggi e metà agosto, quando si terrà la Convention dei Democratici sembrano essere tre: la riconferma della candidatura Biden, la rinuncia a vantaggio dell’attuale Vice Presidente e l’entrata in scena di una terza figura, che sia un politico di professione (ad esempio uno dei Governatori degli Stati a guida Democratica) o una rappresentante della società civile che rimette in gioco tutto il dibattito. Qualunque sia l’esito, quello che a noi deve interessare su questa rivista sono le implicazioni di ciascuna delle configurazioni possibili e la maturazione di una consapevolezza di sistema.
Partiamo dalle implicazioni. A questo punto della vicenda, la probabilità che vinca Trump a novembre è altissima. Una seconda presidenza Trump avrà parecchi impatti sulla nostra economia. In primo luogo, Trump vorrà proteggere l’economia americana da tutti, non solo dalla Cina, e l’Europa, che per lui è irrilevante politicamente, sarà la sua prossima vittima. In particolare l’Italia, che conta un avanzo commerciale con gli USA di circa 44 miliardi di dollari e per il quale dobbiamo aspettarci dazi e vincoli all’esportazione di pari portata e violenza di quanto fatto da Biden verso le auto elettriche cinesi. In secondo luogo il nostro Paese verrà marginalizzato, perché Trump bypasserà la UE e dialogherà direttamente con Francia, Germania, Russia e Ungheria, per via dell’amicizia personale con Orban. Nonostante la piaggeria di qualche membro dell’attuale coalizione di governo verso il magnate newyorkese, l’Italia appare ai suoi occhi un ridicolo teatrino di paradossi politici, sociali ed economici. Dovremo, per essere molto franchi, cercare nuovi mercati e probabilmente guardare con molta meno arroganza a Est, anzi al Far East, e a un piano davvero concreto di investimenti per lo sviluppo del Nord Africa che non può essere solo quello che oggi chiamiamo Piano Mattei. In secondo luogo, dovremo creare le condizioni perché affluiscano rapidamente in Italia gli investimenti esteri che non potremo più aspettarci dalle aziende americane, ad esempio della tecnologia, e dovranno invece giungere sempre dal Far East, come conseguenza delle politiche di protezione a nostra volta verso le importazioni dalla Cina, seppure più blande di quelle americane. Potremmo infine osservare una nota positiva: la fine della guerra in Ucraina. Trump non vorrà finanziare infatti un conflitto contro un suo amico e quindi imporrà all’Ucraina di accettare una resa che equivarrà a una sconfitta, cedendo i territori che a questo punto si potevano cedere sin dall’inizio senza il tributo di vite e risorse, e favorirà la ricostruzione del Paese con la propria struttura industriale. Meno chiara è la posizione sul conflitto israelo-palestinese, ma è probabile che invece in quella parte del mondo non gli dispiacerà usare i muscoli e rischiare l’allargamento del conflitto. Comunque vada, è certo che ritirerà larga parte delle truppe americane di stanza in Europa, lasciando il Vecchio Continente sguarnito ed esposto, molto più che in passato.
E se invece vincesse un Democratico? Non sono in grado di aggiungere molto se non che dovremmo aspettarci continuità rispetto al recente passato, ma onestamente, in questa fase, a meno di una candidatura davvero disruptive, sembra uno scenario remoto.
La consapevolezza che dobbiamo però acquisire tutti è che oggi più che in qualunque altro momento storico l’unica vera continuità è quella delle discontinuità.
Qualche settimana fa ci attendevamo esiti a “destra” del voto europeo, ma non certo che in 24 ore il terremoto politico francese obbligasse il Presidente a indire delle elezioni politiche e rischiasse di trasformare in breve la Francia nel Paese più a destra del G7. L’effetto delle elezioni europee non ha nemmeno risparmiato la Germania, oggi un pallido ricordo in quanto a leadership continentale e stabilità interna rispetto a pochi anni, direi mesi, fa quando alla guida c’era Angela Merkel. Le conseguenze della Brexit e la crisi economica e sociale senza precedenti restituiranno tra poche ore il governo inglese dopo quattordici anni ai Labour e a un signore perbene, ma privo di alcun carisma, che si troverà controcorrente a sinistra rispetto all’Europa da cui gli inglesi sono voluti uscire e a cui adesso guardano con rimpianto.
In Europa intanto la politica comincia sempre più a spaccarsi non più tra frugalità del Nord e inefficienze del Sud e nemmeno tra progressismo a Ovest e nazionalismo a Est, ma proprio tra Europa SI ed Europa NO, mentre dei veri temi, come la politica demografica e la gestione dell’immigrazione, la sicurezza e la cybersicurezza continentale, l’autonomia energetica sembra non importare a molti.
Dobbiamo essere preoccupati? Non oltre il ragionevole dovuto, nel senso che possiamo imparare a proteggerci preparando strategie e piani molto più flessibili che in passato e soprattutto confidando che le discontinuità sono una fonte di grande opportunità, perché dove latita la politica l’economia si inserisce e dove mancano le regole nascono nuovi mercati. E, come sosteneva Mao, “grande è la confusione sotto il cielo. La situazione è eccellente!”