26-05-2025
di Enzo Baglieri, Associate Dean, SDA Bocconi School of Management
di Enzo Baglieri, Associate Dean, SDA Bocconi School of Management
Il percorso verso la pace in Ucraina, come ben sanno i nostri lettori, dipende da una serie di fattori tra inevitabilmente rientrano la ricostruzione e poi il rilancio dell’economia di questa nazione. A tal fine, gli Stati Uniti e l’Ucraina hanno recentemente firmato una serie di accordi d’intesa complessiva sullo sfruttamento delle risorse minerarie ucraine e in particolare delle cosiddette terre rare. L'accordo attribuisce agli USA diritti di prelazione sull'estrazione mineraria in Ucraina tramite investimenti e contratti di offtake. Kiev avrà l'ultima parola sulle quantità, sulla natura e sulle localizzazioni dei siti minerari e soprattutto manterrà la proprietà del sottosuolo. È, tutto sommato, un buon accordo per l’Ucraina e soprattutto per gli Stati Uniti, ma tutto è relativo, nel senso che nonostante l’accordo tra Washington e Kiev getti delle basi più eque per il possibile sfruttamento delle risorse minerarie, rimangono alcuni elementi di incertezza su come e quanto l’Ucraina possa diventare un fornitore duraturo degli USA. La situazione politico-militare e lo stato delle infrastrutture del Paese lasciano molti dubbi sull’opportunità di investire a breve in Ucraina. Inoltre, il vero tema, in ordine alla criticità di queste materie prime è sempre più legato alla capacità produttiva dell’intera filiera. L’Ucraina già forniva infatti titanio all’industria aerospaziale e della difesa americane e potrebbe potenzialmente crescere in minerali e metalli come litio, grafite e manganese, cruciali per la produzione di batterie elettriche. La capacità dell’Ucraina di entrare in queste filiere industriali dipenderà tuttavia in larga parte dalla tipologia di supporto che gli USA e gli altri alleati le offriranno. In sintesi, non è con l’accordo in questione che né gli Stati Uniti né tanto meno l’Europa potranno risolvere la vera questione sottostante, ossia la dipendenza dalle forniture cinesi.
La Cina, infatti, non è solo uno dei principali estrattori di alcune terre rare, ma è soprattutto responsabile della maggior parte della raffinazione dei minerali in metalli e del loro consumo, impiegandoli nella manifattura di prodotti ad alto valore aggiunto. Il controllo di questa filiera è, dunque, il fattore fondamentale della vulnerabilità occidentale e l’elemento che più sollecita gli interessi e le ambizioni degli altri grandi Paesi nella corsa alle tecnologie che più necessitano di questi materiali.
La Cina, infatti, non è solo uno dei principali estrattori di alcune terre rare, ma è soprattutto responsabile della maggior parte della raffinazione dei minerali in metalli e del loro consumo, impiegandoli nella manifattura di prodotti ad alto valore aggiunto. Il controllo di questa filiera è, dunque, il fattore fondamentale della vulnerabilità occidentale e l’elemento che più sollecita gli interessi e le ambizioni degli altri grandi Paesi nella corsa alle tecnologie che più necessitano di questi materiali.
Per quanto attiene alle terre rare, la dipendenza si è già tramutata in ritardo tecnologico in alcuni dei settori a valle in cui maggiore è il loro impiego. La criticità di questi materiali viene infatti stimata sulla base di un mix di indicatori (economici, geopolitici, geologici) che, attraverso due indici specifici (il rischio di approvvigionamento e importanza economica) restituiscono una matrice di criticità per le materie prime presa in considerazione.
Alla luce di questa “matrice di Kraljic”, come la definiremmo noi teorici della gestione degli approvvigionamenti, nel caso dell’UE, il numero di materie prime classificate come “critiche” per una serie di settori economici, dal 2011 (anno della prima lista) all’ultima del 2023 è passato da quattordici a trentaquattro.
Secondo l’International Energy Agency, la transizione energetica inoltre comporterà un significativo aumento della domanda di questi minerali e metalli a livello globale, principalmente per batterie elettriche (sia destinate all’automotive e sia alle tecnologie per l’accumulo stazionario), turbine eoliche e reti di trasmissione. L’ordine di grandezza varia a seconda del mercato di riferimento, con litio, grafite, nichel e rame che guideranno in termini di volumi e valori rispetto a segmenti più di nicchia come il cobalto.
Per ridurre questa dipendenza a colmare il gap tecnologico conseguente, la Commissione europea ha svelato di recente la prima tranche di progetti classificati come “strategici”. Sono stati selezionati quarantasette progetti tra estrazione, raffinazione e riciclo che riguardano quattordici delle diciassette materie prime classificate come “strategiche” dalla Commissione.
Nel caso delle miniere, godranno di un iter di autorizzazione burocratico e ambientale accorciato ad un massimo di ventisette mesi, mentre per la trasformazione o il riciclo di quindici mesi. Nove iniziative sono localizzate in Francia, altrettante nei Paesi Scandinavi, che sono ricchi di risorse e di riserve, oltre che depositari di tecnologie e know-how minerario, otto nell’Europa dell’Est, sette in Spagna, quattro in Italia e Portogallo, tre in Germania e altri tre tra Belgio ed Estonia.
Due terzi dei progetti riguardano a vario titolo i cosiddetti battery minerals, ossia i minerali fondamentali per la manifattura delle batterie al litio nella forma chimica predominante. Eurometaux, l’associazione di settore, aveva stimato che l’UE avrebbe avuto necessità di aprire almeno dieci nuove miniere, quindici nuovi impianti di lavorazione e quindici impianti di riciclaggio per le principali materie prime “strategiche” entro il 2030 e di finanziare quindici progetti legati nei Paesi terzi. Si tratta quindi di una serie di iniziative importanti e in linea con le richieste del settore, specie se si considera che nessuna nuova miniera è stata avviata in Europa negli ultimi quindici anni.
La seconda fase della strategia mineraria riguarderà il supporto finanziario di questi progetti fino alla commercializzazione. Alcuni Stati membri, come la Francia, la Germania e l’Italia, hanno istituito fondi sovrani per incrementare l’offerta di materie prime strategiche rispetto alle esigenze industriali. Per questi progetti sul suolo continentale, sono previsti ventidue miliardi di euro in spese per conto di capitale da parte delle società coinvolte, che verranno probabilmente supportati con interventi di de-risking da parte delle istituzioni finanziarie europee, ad esempio la BEI.
In questo scenario di sostanziale costante instabilità e relatività, come in ogni altro confronto nello scenario geopolitico globale, solo l’unità politica e strategica dell’Europa risulta un fattore assoluto, perché è dalla condivisione delle risorse e delle visioni che origina la vera capacità di difendere l’economia e l’industria del Continente.
Alla luce di questa “matrice di Kraljic”, come la definiremmo noi teorici della gestione degli approvvigionamenti, nel caso dell’UE, il numero di materie prime classificate come “critiche” per una serie di settori economici, dal 2011 (anno della prima lista) all’ultima del 2023 è passato da quattordici a trentaquattro.
Secondo l’International Energy Agency, la transizione energetica inoltre comporterà un significativo aumento della domanda di questi minerali e metalli a livello globale, principalmente per batterie elettriche (sia destinate all’automotive e sia alle tecnologie per l’accumulo stazionario), turbine eoliche e reti di trasmissione. L’ordine di grandezza varia a seconda del mercato di riferimento, con litio, grafite, nichel e rame che guideranno in termini di volumi e valori rispetto a segmenti più di nicchia come il cobalto.
Per ridurre questa dipendenza a colmare il gap tecnologico conseguente, la Commissione europea ha svelato di recente la prima tranche di progetti classificati come “strategici”. Sono stati selezionati quarantasette progetti tra estrazione, raffinazione e riciclo che riguardano quattordici delle diciassette materie prime classificate come “strategiche” dalla Commissione.
Nel caso delle miniere, godranno di un iter di autorizzazione burocratico e ambientale accorciato ad un massimo di ventisette mesi, mentre per la trasformazione o il riciclo di quindici mesi. Nove iniziative sono localizzate in Francia, altrettante nei Paesi Scandinavi, che sono ricchi di risorse e di riserve, oltre che depositari di tecnologie e know-how minerario, otto nell’Europa dell’Est, sette in Spagna, quattro in Italia e Portogallo, tre in Germania e altri tre tra Belgio ed Estonia.
Due terzi dei progetti riguardano a vario titolo i cosiddetti battery minerals, ossia i minerali fondamentali per la manifattura delle batterie al litio nella forma chimica predominante. Eurometaux, l’associazione di settore, aveva stimato che l’UE avrebbe avuto necessità di aprire almeno dieci nuove miniere, quindici nuovi impianti di lavorazione e quindici impianti di riciclaggio per le principali materie prime “strategiche” entro il 2030 e di finanziare quindici progetti legati nei Paesi terzi. Si tratta quindi di una serie di iniziative importanti e in linea con le richieste del settore, specie se si considera che nessuna nuova miniera è stata avviata in Europa negli ultimi quindici anni.
La seconda fase della strategia mineraria riguarderà il supporto finanziario di questi progetti fino alla commercializzazione. Alcuni Stati membri, come la Francia, la Germania e l’Italia, hanno istituito fondi sovrani per incrementare l’offerta di materie prime strategiche rispetto alle esigenze industriali. Per questi progetti sul suolo continentale, sono previsti ventidue miliardi di euro in spese per conto di capitale da parte delle società coinvolte, che verranno probabilmente supportati con interventi di de-risking da parte delle istituzioni finanziarie europee, ad esempio la BEI.
In questo scenario di sostanziale costante instabilità e relatività, come in ogni altro confronto nello scenario geopolitico globale, solo l’unità politica e strategica dell’Europa risulta un fattore assoluto, perché è dalla condivisione delle risorse e delle visioni che origina la vera capacità di difendere l’economia e l’industria del Continente.