Intervista a Carlo Altomonte, professore associato dell’Università Bocconi, a cura di Enzo Baglieri, direttore della Unit Produzione e Tecnologia della SDA Bocconi School of Management
La gestione della supplychain non rappresenta soloun’opportunità di efficienzaoperativa, ma anche unostrumento cruciale per contrastarel’attuale volatilità deimercati e, soprattutto, perpermettere alle aziende diprevenire gli shock dimercato che deriveranno dalnuovo equilibrio mondiale,passata la crisi dei mercatifinanziari.
In definitiva, quanto si chiedeai profili manageriali cheoperano nelle Operations,nella Logistica e nel SupplyChain Management è di impararea leggere i fenomenidell’economia con un prospettivapiù ampia di quantonormalmente il loro ruoloavrebbe richiesto. La volatilitàdei sistemi economici èinfatti talmente accentuatache eventi anche moltolontani hanno ripercussionisu business apparentementenon correlati. In un similecontesto la gestione delrischio si realizza anticipandonele manifestazioni eappunto essendo in grado dicapire i fenomeni dell’economia.Ne abbiamo discusso conCarlo Altomonte, collega dell’Università Bocconi edesperto di politica economicaed economia industriale,in occasione del recente workshopdel Club Produzione eTecnologia della SDA BocconiSchool of Management daltitolo “Scenario Industrialee Competenze Professionali”.
Enzo Baglieri: Cosa pensidella gestione della crisi inEuropa, siamo finalmentelontani dal baratro?
Carlo Altomonte: Dall’iniziodella crisi fino ai giorni nostri,i principali Stati membridell’Unione Europea si sonofrequentemente riuniti in quelli che sono stati definiti i“meeting decisivi” per trovareuna soluzione al preoccupantescenario economico cheandava delineandosi nonostantela continua adozionedi misure straordinarie pertranquillizzare il mercato finanziario.
Quel che è successo negliultimi anni, in particolare dal2010 in poi, è molto sempliceda descrivere: un problemapiccolo, come lo era la Greciainizialmente, in principio èstato gestito molto bene conla costituzione del fondo distabilizzazione europeo(EFSF), il primo piano di aiutidi 110 miliardi di euro emanato a sostegno dellaGrecia, e gli interventi dellaBCE miranti a stabilizzare sulmercato secondario le quotazionidei titoli del debito pubblicodei paesi in difficoltà (ilfamoso ‘spread’).
A seguito di tali interventiperò, le reazioni non sonostate quelle sperate: da unlato, la Grecia non ha rispettatola condizionalità relativaalle riforme richieste dall’UE,dall’altro gli altri stati europeinon sono stati in grado dievitare che una crisi così circoscrittasi allargasse a tuttala zona euro, diventando difatto una crisi sistemica.Il principale motivo è che aimercati non sono state datedelle risposte coerenti dalpunto di vista politico e questoperché alla nostra monetaunica non corrisponde unapolitica fiscale unitaria e condivisa,ma bensì tante “politiche”quanti sono gli statimembri dell’Unione. Si èquindi creato un dubbio sulmercato finanziario riguardoall’effettiva ‘tenuta’ dell’eurocome valuta. In tale contesto,gli investitori preferisconoinvestire altrove, magari indollari o in Asia, e ciò crea unmeccanismo tale per cui la liquidità all’interno della zonaeuro inizia a scarseggiare.
Questo mette sotto pressionele nostre banche, crea un‘credit crunch’ che rallental’economia, e di conseguenzarende più complicato intervenirequando è necessario finanziaregli stati che piùhanno risentito della difficilecongiuntura economica.
Questa crisi, che potrebbeessere definita di credibilità,ha appunto minato la credibilità della nostra valuta e hacreato una serie di conseguenzeeconomico-finanziare chehanno indotto l’Europa avarare nel luglio 2011 unsecondo piano di aiuti allaGrecia, portato da 109 miliardidi euro a 130, ma non solo:nel dipanarsi della crisi siamoarrivati nel novembre 2011alla crisi del sistema politicoitaliano e alle dimissioni delgoverno, in un momento digrave crisi non solo economicama anche istituzionale, conla conseguente nomina di unGoverno “tecnico” per gestirel’emergenza.
Adesso i governi, dopo averprovato ad aprire tutte le possibiliporte sbagliate, sembranoaver trovato finalmentequella giusta, individuata inrealtà già da tempo: aumentarela liquidità all’internodella zona euro. A tale scopo,la BCE ha avviato a dicembre2011 un’operazione di finanziamentoa tre anni che haintrodotto circa 500 miliardidi euro di liquidità a favoredelle banche e delle aziendeeuropee.
In Italia, tale finanziamento èstato però assorbito in granparte dalle banche per sistemareil loro bisogno internodi liquidità visto che quest’annodevono essere rinnovaticirca 750 miliardi di euro di crediobbligazionibancarie in scadenzae, in assenza di grandiinvestitori, è stato necessarioraccogliere tale somma inaltro modo.
Grazie al “prestito” a tre anniconcesso dalla BCE, le bancheeuropee possono sostenereper quest’anno il rinnovo delleobbligazioni in scadenza. Afebbraio, sempre dalla BCE,sono arrivati altri 530 miliardidi euro di nuova liquidità, dicui circa 200 miliardi di eurodovrebbero arrivare nellebanche periferiche del sudEuropa come garanzia chequesta volta, almeno in Italia,dovrebbe essere utilizzata dalsistema bancario non percoprire le proprie esigenze dibilancio ma sanare sia la crisilegata al debito sia per riattivareil sistema del prestito alleimprese.
I segnali in tale direzione sonostati a gennaio già più chepositivi, ma non dimentichiamoche veniamo da un fine2011 in cui stavano davverorischiando di non essere piùcredibili a livello internazionale.In sostanza, la ripresapian piano arriverà ma, ancoraper quest’anno, dovremoscontare il dato negativo checi trasciniamo dall’ultimoquadrimestre del 2011.Questa introduzione di liquiditàrisolve uno dei grandiproblemi che stanno dietroalla mancanza di fiducia delmercato rispetto alla monetaunica, aiuta a far scendere lospread e a far tornare gli investitoriad interessarsi almercato europeo, facendoripartire in qualche misura ilcredito.
Poco tempo fa, inoltre, i leadereuropei hanno firmato unaccordo, chiamato FiscalCompact, che rafforza lenorme per il raggiungimentodella parità di bilancio, unamanovra poco utile dal puntodi vista economico, dato chein Europa esistono già unaserie di meccanismi che impedisconodi fare spesa pubblica(il Patto di Crescita eStabilità), ma efficace invecedal punto di vista politico.Infatti, grazie all’esistenza diquesto patto la Germania puòvendere ai suoi cittadini l’ideache si possa creare un fondodi salvataggio europeo benpiù capace e capiente diquello usato fino adesso, attraversoil cosiddetto EuropeanStability Mechanism, unvero e proprio istituto internazionaleper coprire le esigenzedi finanziamento diGrecia, Portogallo e Irlanda enon solo.
Questo nuovo fondo monetarioeuropeo avrà 500 miliardidi euro capitale, quindi, conuna possibile leva di 4-5 volte,una capacità di fuoco che potrebbearrivare a 2-3 mila miliardidi euro; nel momentoquindi in cui questo fondo distabilizzazione europeaentrerà in vigore (30 marzo) equando il capitale versato diventeràoperativo (30 giugno),lo spettro della crisi si assottiglierà,e di questo i mercatise ne sono già resi conto.
EB: Cosa accadrà alla Grecia,dunque?
CA: In questi giorni leggiamodella crisi greca e delle protestead Atene contro il fallimentodel sistema, ma la Grecia è già economicamente fallita,le stiamo solamente dando ladose di ossigeno per tenerlaartificialmente in vita fino ache non avremo messo apunto tutte le corrette barrieredi protezione: al momento,non possiamo far fallire laGrecia e questo la Grecia lo sa.
EB: Possiamo stare sereni oaltre fonti di volatilità deimercati sono all’orizzonte?
CA: Oltre alla crisi greca, cisono altre fonti che aumentanoil rischio di volatilità delmercato europeo. La primasono i continui downgrade daparte delle agenzie di ratingnei confronti del nostro paeseche, però, sembrano non preoccuparepiù di tanto imercati. Questo perché con lavelocità della crisi le agenzie di rating sembrano basare leloro stime guardando dallospecchietto retrovisore,ovvero su ciò che è già successo.Adesso, infatti, la posizionedell’Italia è sicuramentemigliorata rispetto a pochimesi fa: le agenzie di ratingcertificano il passato, i mercatisembrano guardare avanti, masicuramente in questo giococ’è spazio per una certa volatilità.La seconda fonte di possibilerischio sono le stime sulla crescita in negativo che riguardanoil nostro paese. Infatti,se si stima che quest’annol’Europa avrà una crescita negativavicina al -0,5%, l’Italiasicuramente farà peggio, forseregistrando anche meno duepunti al di sotto del PIL.Per le imprese italiane il 2012non sarà dunque un anno migliore,e lo stesso possiamodire per il 2013. Questa recessioneè infatti il costo dapagare per la risoluzione definitivadella crisi.
La terza fonte di volatilità deimercati riguarda il debito darifinanziare (Figura 1):quest’anno l’Italia deve rifinanziarequasi 300 miliardi dieuro di debito, di cui circa 200miliardi da rifinanziare entrogiugno. Nonostante le aste deititoli pubblici stiano andando bene, la posizione dell’Italia èancora relativamente debolesul mercato finanziario. Lacosa buona è che l’ultimamanovra varata dal governoMonti prevede l’azzeramentodel deficit per il 2013 e dunquela stabilizzazione del debito,scelta che tranquillizza imercati e impedisce l’inasprimentodello spread e dei tassi.Ma occorre continuare a vigilare,e mandare ai mercati ilsegnale che l’Italia sta continuandonell’opera di riformestrutturali intraprese.
Questo perché mentre in generaleil dato sul debito italianoè sostanzialmente positivo(la possibilità di mandare indefault questo paese è moltobassa, e la probabilità che ildebito vada fuori controllo èdi fatto zero), resta comunqueil rischio di scarsa liquidità.Se dobbiamo rifinanziare ildebito, dobbiamo infattitrovare qualcuno disposto acomprarlo in asta. Se però igrandi investitori internazionalinon sono presenti inforze, e non c’è al momentoun fondo di salvataggioeuropeo abbastanza capienteper coprire il debito italiano,non resta altro che mandaredei segnali positivi ai mercati,ed è quello che sta facendo ilgoverno Monti con le manovrevarate fino ad oggi.
EB: Recentemente ti hosentito sostenere che seimolto più preoccupato dagliStati Uniti e dal loro debito.Lo confermi?
CA: Se passiamo ad analizzarela situazione economicofinanziariadegli Stati Uniti inquesti ultimi anni, scopriamoche l’evoluzione del debitoamericano è in realtà più preoccupantedi quella del debitoeuropeo, adesso sotto controllograzie alle manovre varatedi recente.Il debito americano èattualmente fuori controllo:se gli Stati Unitiperseverano nel mantenerela politica fiscaleadottata dal 2008 al2011, non tollerando difatto di dover pagare ilcosto della crisi, continuerannoa sacrificare,come già avviene, piùdel 5% del PIL in deficitogni anno (Figura 2).Tale atteggiamento è giàcostato una A di declassamentoda parte di unaagenzia di rating adagosto, ma i rischi sonomolto più elevati se gliStati Uniti non adotterannomisure di contenimentodel debitonell’immediato futuro.E questo loro lo sannobene, dato che hannogià votato una serie dimisure per riportare ildebito sotto il livello dicontrollo, nonostantequesto comporti laperdita di diversi puntidi crescita. Infatti, se apartire dal 2013 verrannovarate le misuredecise ad agosto 2011,l’anno prossimo gli StatiUniti potrebbero registrareuna crescita zero.La riduzione del debitoha sempre un impatto sulla crescita e un simile scenarioper l’economia americanaavrebbe delle ripercussionisull’intera economiamondiale.
Oltre a questo, l’attuale politicamonetaria americanarischia di risultare troppo inflazionisticarispetto alsistema economicoamericano. Attualmentela FED stima un datosulla disoccupazione‘naturale’ (quella che siha quando un sistemaeconomico cresce inequilibrio) non moltosuperiore al 4%. Tutti glianalisti internazionali,tranne l’ufficio del congressoamericano, ritengonoperò che il tasso didisoccupazione naturaledegli Stati Uniti dopola crisi sia più vicino al7% che al 4%: ergo ildivario tra la politicamonetaria ottimale equella effettivamenteperseguita dalla FEDrischia di essere eccessivo,con uno stimolomonetario troppo forterispetto alle esigenze delpaese.
Se escludiamo lo scenariodella crescita zeroper i prossimi due anni,mantenere l’attuale politicamonetaria potrebbegenerare maggioreinflazione negli StatiUniti, e dunque unaforte svalutazione dellavaluta. Analogamente,se immaginiamo unoscenario di bassa crescita,il dollaro è destinatocomunque a subire undeprezzamento.
Questo scenario evidentementecostituisce unafonte di potenziale volatilitàper le nostreimprese, ricordando alleaziende italiane espostein dollari di prendere ledovute precauzioni nelcaso di uno shock deltasso di cambio, esiccome è molto probabileche ciò avvenga, èbene prepararsi sin daora.
EB: Non ci resta cheguardare al vero campionedell’economia diquesto secolo, la Cina.Quanto potrà crescere ancoraquesta economia?
CA: Chi pensa che la Cina nonstia più crescendo, si sbaglia.Infatti, quest’anno la Cina siprepara al “cambio dellaguardia” al vertice del partito,e nel programma del futuropresidente uno dei principaliobiettivi riguarda la crescita,che nel prossimo futuro dovràessere “armoniosa”. In praticaquesto vuol dire che per i prossimianni la Cina ha già decisodi ridurre l’attuale tasso di crescita(intorno al 9%) per portarlosulla base del piano quinquennale2011-2016 ad unamedia intorno al 7%.L’obiettivo è quello di passareda modello di sviluppo basatosugli investimenti ad unobasato sul consumo interno,con conseguente rivalutazionedella moneta. Per fare ciò,è tuttavia indispensabile chein questa fase di transizionenon vi siano gravi imprevistisulla crescita. Dato il rigoreche da sempre distingue lapolitica cinese, e lo spazio dimanovra di cui godono sia lapolitica monetaria che quellafiscale, è probabile che tuttoprocederà senza particolariscossoni interni, almeno nelbreve periodo.
EB: Che cosa accade nelmomento in cui l’economiacinese smette di crescere al9-10% l’anno?
CA: Succede che l’impatto chela Cina ha avuto negli ultimidieci anni sul mercato mondiale,ad esempio sulladomanda di commodities(Figura 3), subirà un arrestoche si ripercuoterà sugli altripaesi. Per capirlo basta unesempio: dal 2000 al 2010,commodities quali nikel,rame, alluminio e zinco hannoavuto un aumento didomanda, proprio grazie allarichiesta della Cina, tra il 15 eil 20% all’anno. Non riuscendoa coprire le richieste di fornituradi tali materiali, la scarsadisponibilità ha portato a unalievitazione dei prezzi e alladecisione da parte di moltipaesi di investire in nuovi giacimentiper l’estrazione diquesti metalli, certi della forterichiesta cinese anche neiprossimi anni.
Come si è visto però, la Cinaha fissato dei nuovi obiettividi crescita, che comporterannoanche una drastica riduzionedella domanda di basicmetals (la metà o addiritturaun terzo di quella attuale), chesi ripercuoterà negativamentesull’economia di quei paesi che invece hannopuntato sulla domandacinese di metalli.
Diverso è invece lo scenarioper i beni agricolie i prodotti energetici,dove la domanda daparte dei mercati emergentiè costante ed è increscita. Tutto questoper dire che nonostantela fase acuta della crisisia ormai alle spalle eche per quest’annosono previsti dei segnalidi ripresa, il mercatomondiale non è comunqueesente da possibili shock(svalutazioni, crollo delladomanda legata alle commodities,ecc.). Bisogna inqualche modo attrezzarsi perevitare che tale scenario abbiaun brusco impatto sulleaziende, soprattutto quelleitaliane.
EB: Per gestire il rischio di unulteriore aumento della volatilitàdei mercati, è necessariocapire le global supplychain o come tu le definiscile global value chains, ovverociò che realmente lega imercati mondiali tra loro. Cipuoi fare un esempio?
CA: Prendiamo in considerazioneun prodotto tuttosommato semplice come il “Sonicare Elite 7000”, unospazzolino da denti elettricoprodotto da Philips per gliStati Uniti. I componenti elettricivengono prodotti da unnetwork di aziende in Asia checoinvolge Cina, Malesia,Taiwan, Filippine e Giappone.La parte tecnologicamentepiù importante è la barra inacciaio che entra nel motorinoelettrico, e che deve essereperfettamente coassiale perevitare vibrazioni: questabarra è fatta con un acciaiospeciale prodotto in Svezia etagliato in Austria, da un’azienda che fa parti in plasticaper lo stesso spazzolino.La Francia (o meglio, PhilipsFrance) produce la base perla carica dello stesso spazzolino.Tutti questi componentivengono mandati negli StatiUniti per l’assemblaggio(perché è più convenienteimportare componenti da assemblareche prodotti finiti),si procede poi all’imballaggioed alla vendita….sulla costaOvest, perché la value chaindella vendita del prodottosulla costa Est è leggermentediversa. Questo è un esempiodi global value chain oggi.
EB: Noi docenti di OperationsManagement abbiamo insegnatoalle nostre imprese agestire i flussi operativi e logisticidi queste catene produttiveglobali. Quali sono glieffetti di questo tipo di organizzazioneinternazionaledella produzione sul sistemaeconomico?
CA: Da un lato, aumenta lavolatilità.È ovvio che nel momento incui avviene uno tsunami inGiappone lo spazzolino dadenti venduto a Seattle ha unproblema. Anche la nafta chePirelli usa per produrre legomme in Argentina ha unproblema, perché c’è statoFukushima, quindi i giapponesiusano meno energia nuclearee più generatori diesel,e dunque la nafta che vieneimportato dalla Cina aumentadi prezzo, ma la stessa naftacinese è anche in parte l’inputche viene usato dalla Pirelliper fare le sue gomme in SudAmerica. Dunque terremotoin Giappone, aumento delcosto della nafta in Argentina…Questi due esempi fannocapire perché la volatilità sale:siamo tutti connessi! È evidentedunque che tutte leaziende sono esposte alrischio di volatilità. In Economiaquesti concetti prendonoil nome di ‘tail events’ o ‘eventicoda’: ovvero aumento dellaprobabilità di eventi estremi,dove per eventi estremi non vuol dire un disastro certo, mala probabilità che il prezzo diun input possa assumerevalori estremi rispetto alla distribuzionestorica. Come hodetto, il dollaro può tranquillamentearrivare oggi a 1,65euro come a 1,05 euro, con lastessa probabilità, a secondadi come evolveranno le politicheeconomiche negli USAe in Europa. Quindi è evidenteche se un tasso di cambio a1,45 non fa troppo male, maa 1,65 manda un’azienda fuorimercato, gestire la volatilitàdiventa fondamentale, a prescindereda quanto eccellentesia un’azienda rispetto allesue competenze distintive.
EB: Come ci si protegge datanta rischiosità, a tuo giudizio?
CA: Questo è un passaggiodelicato, Enzo. Sostanzialmentela parola chiave èpassare dal concetto di just intime a quello di just in case.Cosa succede al mio budgetse quel valore di inputaumenta di x punti percentuali?È molto più probabiledi prima che questo possaaccadere. E’ dunque importantefare un vero e proprio“stress test” del budget rispettoalle variazioni estreme deiprezzi degli input. Facendolo,si scoprirà ad esempio se peruna azienda è un problemache il dollaro arrivi a 1,60 euro,o quanto è probabile che vadaanche oltre.
Analogamente, se il prezzo delrame che ho messo a budgeta 7.500 euro arriva a 9.000euro è un problema? Sì, e cosaposso fare? Quanto è l’impattosul budget? Quanto micosta assicurarmi controquesta cosa? Quanto è probabileche questo avvenga? Sullabase delle risposte a questedomande, è possibile ottimizzarela strategia finanziariacon strumenti di copertura dalrischio, oppure diversificaregli acquisti, modificare le tipologiedi contratto, scaricareil rischio su fornitori chemagari questi conti non lifanno, e dunque in ultimaanalisi difendere il nostrobudget dall’assalto dei ‘tailevents’.
Né peraltro è difficile oggi costruirestrategia di coperturafinanziaria. Prendiamo comeesempio una azienda multinazionaleitaliana che hacome parte importante deisuoi input il cartone. Il cartonenon viene venduto su unmercato organizzato, dunquenon ha immediati strumentidi copertura (come le principalicommodities). La volatilitàdel prezzo del cartone èperò aumentata fortemente,quindi i margini variano infunzione di quanto varia ilprezzo del cartone, pur in presenzadi un processo produttivoottimizzato al massimo.Come fare a ‘coprire’ il prezzodel cartone? Gli input cheentrano nella produzione dicartone sono petrolio e cellulosa:si calcolano i coefficienti di correlazione traquesti e il cartone, e traquesti ultimi due, ecome con gli ingredientidi una ricetta di cucinasi costruisce un “hedgesintetico”, ossia unostrumento che usa contrattidi copertura esistentiper il petrolio e lacellulosa in combinazioneottimale dacoprire il prezzo delcartone. Sulla base delleesigenze aziendali sipuò preparare un contrattoche garantisce levariazioni del prezzo delcartone secondo le finestrestabilite, e piùampie sono tali finestre menocosta all’azienda questa copertura.
EB: Ci sono solo lati negativinelle Global Value Chain? Mipreoccuperebbe molto,perché non credo che potremmotornare facilmentené all’integrazione verticalené alla fornitura solo locale.
CA: Le global value chains oggicostituiscono una sfida,perché obbligano a gestireuna volatilità crescente, marappresentano anche una opportunitàper le nostreaziende. Infatti, l’evoluzionetecnologica unita alle GVCsrompe i tradizionali legami traaziende e paesi, aprendoenormi spazi di mercato. Percapire i termini del problema,consideriamo un esempiofamoso, cioè la catena delvalore dell’IPhone 4 (Figura4). Prodotto in Cina e vendutoa circa 600 dollari negli StatiUniti, il margine gi guadagnodella Apple è di 270 dollari perogni pezzo venduto. Il prezzodell’IPhone uscito dalla fabbricaè di circa 179 dollari.Sebbene i numeri cambino damodello a modello, si stimache dei circa 179 dollari diprezzo alla fabbrica (Foxconn,fabbrica taiwanese localizzatanel sud della Cina), solo 6.5dollari si riferiscono a fattoridi produzione cinese, mentreil resto proviene da input giapponesi(circa 60 USD), coreani(23 dollari), dagli stessi StatiUniti (10 USD), dalla Germania(29 dollari), e così via. Manel 2005 la catena globale delvalore dell’IPod (prodotto inCina per 148 USD, con 4 USDdi valore aggiunto cinese, evenduto negli USA per circa350 USD) vedeva la presenzadi input coreani per soli 2USD, a fronte dei 23 cheentrano in questo modello diIPhone. In soli quattro anni,le imprese coreane hannodunque moltiplicato per diecila quota di fatturato integratanella produzione di un bene‘globale’. Di converso, leimprese giapponesi che vendevanoinput per l’IPod percirca 100 USD (l’hard disk)oggi pesano nella catena delvalore dell’IPhone per circa 60USD. Ovviamente, Apple puòmodificare a piacimento talicifre, semplicemente allocandodiversamente la scelta deifornitori.
Questo esempio ci fa capirel’importanza per le imprese(italiane) di agganciare lecatene globali della produzione,perché questoconsente non solostimoli e incentivi allaqualità ed alla produttività,ma anche l’accessoad una domanda‘globale’, dunque tendenzialmentecaratterizzatada volumi elevatie in linea di massima inpotenziale crescita peri prossimi anni. E inquest’ultimo caso ifattori competitivi disuccesso non sono probabilmentelegati alladimensione, quantopiuttosto alla qualità, al servizioal cliente ed alla flessibilitànel far fronte a eventualivariazioni nelle specifiche,tutti fattori di cui le PMI italianesono ricche.
In sintesi, dunque, le cateneinternazionali del valore daun lato producono questesfide (gestire la volatilità),dall’altro creano delle opportunitàper il nostro business.
Ho la sensazione che nei prossimianni le aziende cheavranno successo sulla scenaeuropea e mondiale, sarannoquelle che si saranno inseritenelle global value chains, eavranno imparato a gestirebene la volatilità che ne consegue.