11-12-2017
A colloquio con Piero Campelli, Cio - Corporate Project & Process Manager del Gruppo Arcese
Logistica Management: Industria 4.0, in generale, e Logistica 4.0 in particolare, sono un po’ le parole del momento. Che cosa significano per voi? E, soprattutto, come si sono generate?
Piero Campelli: Stiamo assistendo a un fenomeno di portata molto ampia: è cambiata completamente l’idea di valore che si attribuisce a un prodotto (vedi Figura 1). Fino a una decina di anni fa, infatti, il valore di un qualsiasi prodotto era dato dalle qualità e caratteristiche del prodotto stesso. Nell’era 4.0, invece, il valore del prodotto nasce dalla composizione di elementi molto diversi, come ad esempio il fattore tempo, la distanza, i servizi correlati e il valore aggiunto sul prodotto stesso, spesso conferito da attori diversi da coordinare e integrare su un obiettivo comune. L’esempio classico è quello dell’automobile: ieri la scelta era basata sulle caratteristiche intrinseche dell’oggetto auto, oggi invece anche l’auto più interessante non è più tale se non è dotata di connettività informatica o di altre funzionalità che rendono l’esperienza completa legata a questo prodotto un unicum distintivo sul mercato. Il valore del prodotto non è più lineare, traccia bensì un arco molto ampio che comprende tutto quello che vi sta intorno, come tempi, servizi o integrazioni al prodotto stesso. Ecco che in questo contesto la supply chain assume un ruolo determinante nella creazione di questo valore: sia dal lato inbound – perché qui si scelgono gli elementi costitutivi di quello che sarà il valore finale – sia dal lato outbound dove si compete sull’accesso al mercato, come tempi di consegna, politiche del brand e servizi post vendita. Ci troviamo insomma di fronte a un nuovo contesto di mercato che cambia il significato di supply chain. Anche queste sono le premesse sulle quali stiamo definendo i nostri obiettivi, indirizzando le scelte dell’azienda in materia di innovazione. Innanzitutto, vogliamo occuparci sia delle scelte tattiche che di quelle strategiche, dunque obiettivi sia a breve che a lungo termine (considerando che ormai un triennio è considerato un lungo termine, per come viviamo oggi). Inoltre, vogliamo fare in modo che queste scelte siano fin dal principio calate all’interno dell’azienda e compatibili con i suoi processi reali. Parliamo dunque di aspetti tecnici, ma abbiamo in mente processi. Parliamo di obiettivi ma anche e soprattutto del cammino per arrivare a realizzare questi obiettivi.
LM: Normalmente, non sono due mondi che lavorano insieme. Da un lato c’è l’organizzazione, da un lato l’IT: nel migliore dei casi si parlano, ma non è detto che elaborino obiettivi comuni.
PC: E fanno male. Dobbiamo infatti tenere presente un’altra massima “filosofica”: le buone idee possono venire in mente a tutti, ma qualsiasi idea è veramente buona solo quando si trasforma in realtà. Sembra banale, ma proviamo a pensare a quante cose abbiamo visto apparire sul mercato, per le quali era troppo presto o troppo tardi. La stessa soluzione può avere una valenza totalmente diversa se perseguita anni prima o dopo. L’Industria 4.0 pone di fronte a noi oggi un arsenale tecnologico completo: ma quali, tra tutte queste idee magnifiche, sono veramente utilizzabili, da noi, nella nostra attività? Il loro vero valore si capisce solo cercando di calarle nel nostro quotidiano. Così si spiega la nostra strategia di innovazione. Nel nostro modello End2End convergono obiettivi, gli aspetti organizzativi coinvolti oltre che i progetti che stiamo portando avanti (vedi Figura 2). Da un lato gli obiettivi, tutto sommato, sono quelli classici che ogni azienda da sempre si pone: soddisfare l’aspettativa di crescita, migliorare l’esecuzione, migliorare la redditività e così via. Al centro i “pilastri” strategici della logica di innovazione che stiamo seguendo, e a destra, gli strumenti con cui intendiamo realizzarla, che comprendono persone, processi e tecnologie. Dove per tecnologie in questo caso intendiamo in realtà la pura commodity: lo smartphone, il tablet, un accesso al PC che ormai, nel mondo in cui viviamo, fanno parte stabilmente della nostra realtà. Dobbiamo solo imparare a metterle a frutto per i nostri obiettivi, facendo capire alle persone quale nuovo ruolo possono svolgere nell’organizzazione, quando queste tecnologie cominciano ad essere sfruttate all’interno di determinati processi. È fondamentale che, di queste voci sulla destra, non se ne tralasci nessuna: si parla di IT, certamente, ma l’IT sarà valida solo se coinvolge adeguatamente i processi e le persone.
Logistica Management: Industria 4.0, in generale, e Logistica 4.0 in particolare, sono un po’ le parole del momento. Che cosa significano per voi? E, soprattutto, come si sono generate?
Piero Campelli: Stiamo assistendo a un fenomeno di portata molto ampia: è cambiata completamente l’idea di valore che si attribuisce a un prodotto (vedi Figura 1). Fino a una decina di anni fa, infatti, il valore di un qualsiasi prodotto era dato dalle qualità e caratteristiche del prodotto stesso. Nell’era 4.0, invece, il valore del prodotto nasce dalla composizione di elementi molto diversi, come ad esempio il fattore tempo, la distanza, i servizi correlati e il valore aggiunto sul prodotto stesso, spesso conferito da attori diversi da coordinare e integrare su un obiettivo comune. L’esempio classico è quello dell’automobile: ieri la scelta era basata sulle caratteristiche intrinseche dell’oggetto auto, oggi invece anche l’auto più interessante non è più tale se non è dotata di connettività informatica o di altre funzionalità che rendono l’esperienza completa legata a questo prodotto un unicum distintivo sul mercato. Il valore del prodotto non è più lineare, traccia bensì un arco molto ampio che comprende tutto quello che vi sta intorno, come tempi, servizi o integrazioni al prodotto stesso. Ecco che in questo contesto la supply chain assume un ruolo determinante nella creazione di questo valore: sia dal lato inbound – perché qui si scelgono gli elementi costitutivi di quello che sarà il valore finale – sia dal lato outbound dove si compete sull’accesso al mercato, come tempi di consegna, politiche del brand e servizi post vendita. Ci troviamo insomma di fronte a un nuovo contesto di mercato che cambia il significato di supply chain. Anche queste sono le premesse sulle quali stiamo definendo i nostri obiettivi, indirizzando le scelte dell’azienda in materia di innovazione. Innanzitutto, vogliamo occuparci sia delle scelte tattiche che di quelle strategiche, dunque obiettivi sia a breve che a lungo termine (considerando che ormai un triennio è considerato un lungo termine, per come viviamo oggi). Inoltre, vogliamo fare in modo che queste scelte siano fin dal principio calate all’interno dell’azienda e compatibili con i suoi processi reali. Parliamo dunque di aspetti tecnici, ma abbiamo in mente processi. Parliamo di obiettivi ma anche e soprattutto del cammino per arrivare a realizzare questi obiettivi.
LM: Normalmente, non sono due mondi che lavorano insieme. Da un lato c’è l’organizzazione, da un lato l’IT: nel migliore dei casi si parlano, ma non è detto che elaborino obiettivi comuni.
PC: E fanno male. Dobbiamo infatti tenere presente un’altra massima “filosofica”: le buone idee possono venire in mente a tutti, ma qualsiasi idea è veramente buona solo quando si trasforma in realtà. Sembra banale, ma proviamo a pensare a quante cose abbiamo visto apparire sul mercato, per le quali era troppo presto o troppo tardi. La stessa soluzione può avere una valenza totalmente diversa se perseguita anni prima o dopo. L’Industria 4.0 pone di fronte a noi oggi un arsenale tecnologico completo: ma quali, tra tutte queste idee magnifiche, sono veramente utilizzabili, da noi, nella nostra attività? Il loro vero valore si capisce solo cercando di calarle nel nostro quotidiano. Così si spiega la nostra strategia di innovazione. Nel nostro modello End2End convergono obiettivi, gli aspetti organizzativi coinvolti oltre che i progetti che stiamo portando avanti (vedi Figura 2). Da un lato gli obiettivi, tutto sommato, sono quelli classici che ogni azienda da sempre si pone: soddisfare l’aspettativa di crescita, migliorare l’esecuzione, migliorare la redditività e così via. Al centro i “pilastri” strategici della logica di innovazione che stiamo seguendo, e a destra, gli strumenti con cui intendiamo realizzarla, che comprendono persone, processi e tecnologie. Dove per tecnologie in questo caso intendiamo in realtà la pura commodity: lo smartphone, il tablet, un accesso al PC che ormai, nel mondo in cui viviamo, fanno parte stabilmente della nostra realtà. Dobbiamo solo imparare a metterle a frutto per i nostri obiettivi, facendo capire alle persone quale nuovo ruolo possono svolgere nell’organizzazione, quando queste tecnologie cominciano ad essere sfruttate all’interno di determinati processi. È fondamentale che, di queste voci sulla destra, non se ne tralasci nessuna: si parla di IT, certamente, ma l’IT sarà valida solo se coinvolge adeguatamente i processi e le persone.

LM: Ma la radice del 4.0 non dovrebbe essere essenzialmente tecnologica?
PC: E certamente lo è, ma se vediamo nel dettaglio i driver dell’industria 4.0, non riteniamo che tutti questi ci possano servire subito e indistintamente. Vogliamo essere innovativi, ma dobbiamo essere anche pragmatici. Per noi è fondamentale partire dall’assunto che, per essere 4.0, non serve riempire di sensori camion e navi: bisogna bensì capire dove si vuole arrivare, e soprattutto come. Quello che stiamo facendo è identificare, nei tanti driver tecnologici che l’Industry 4.0 ci propone, quelli che possono essere interessanti per noi, oggi per domani, non domani per chissà quando. Elenco alla mano, stiamo avviando una serie di Proof of Concept (PoC) o anche progetti veri e propri, ancorché limitati come tempi e come realizzazioni, nei quali le persone possano verificare sul campo i nuovi processi e soprattutto le nuove mentalità che vengono richieste per poter utilizzare queste tecnologie. Ora, il nostro percorso tecnologico si svolge in pratica su tre layer distinti, suddivisi per aree di applicazione. Abbiamo innanzitutto le tecnologie di digitalizzazione, comunicazione e collaborazione, quelle con cui entriamo in contatto con il mondo dei nostri clienti. Vi è poi il layer della produttività interna: dunque CRM, pianificazione, TMS/WMS, Big data, machine learning e logica del portale. Infine, vi è tutta l’area che noi identifichiamo come “end to end”: visibilità e tracciabilità, Internet of things, in una parola “convergenza” fra eventi finalizzata alla creazione di un flusso unico lungo il percorso, spesso molto complesso, che gli oggetti compiono da quando i nostri clienti li affidano a noi, a quando noi li consegniamo al loro destinatario finale.
Vediamo dunque i pillar classici del 4.0: Automazione, Robotizzazione, Internet of Things, Big Data, Intelligenza Artificiale, Realtà aumentata, Digitalizzazione e Stampa 3D. Applicando questo elenco alla nostra realtà, qualcosa subito si esclude. La stampa 3D ad esempio per noi è una prospettiva troppo remota in questo momento. Tante altre tecnologie invece risultano ben più consistenti o per la maturità del loro mercato, o per le caratteristiche della nostra realtà aziendale, o per la sollecitazione che riceviamo dai nostri clienti. Così dunque si compone il “nostro” elenco 4.0: RFID, Cloud, Dematerializzazione, Automatizzazione e Consenso, Portale B2B, Digital Workplace, IoT e convergenza di eventi concorrenti o complementari. Su tutte queste voci abbiamo avviato o stiamo progettando dei PoC, che possono essere più o meno teorici, più o meno distribuiti, ma di fatto si prefiggono tutti un duplice obiettivo: tecnologico – vedere se e come la tecnologia funziona – e organizzativo – vedere se e come le persone utilizzano queste soluzioni, con quali sforzi e con quali adeguamenti di metodo necessari per coglierne pienamente i vantaggi a livello aziendale.
LM: Non resta che vederli punto per punto.
PC: Cominciamo con la RFID, un progetto effettivo messo in campo per un nostro importante cliente, per il quale gestiamo l’asservimento alla linea di produzione delle materie prime e parti componenti. Siamo nel campo della logistica di produzione, uno dei settori applicativi che ci vedono forti. Per questo cliente noi gestiamo l’inbound dei pezzi componenti, provenienti da tutta Europa. In seguito, riceviamo dal cliente la cosiddetta “velina”, ovvero la distinta base che descrive tutto il kit personalizzato che servirà a costruire ogni singolo prodotto. Preleviamo i vari componenti dal nostro magazzino e li mettiamo nei contenitori, che sono identificati con tag RFID. L’identificativo consente di tracciare ogni kit che esce dal nostro sito e ogni kit che entra in fabbrica, verificando in entrambi i casi il contenuto in automatico. I vantaggi sono allo studio, ma posso già dire che la garanzia di precisione in questo caso è un elemento essenziale sia per il produttore che per il fornitore logistico: innanzitutto, ogni errore nella composizione dei kit è addebitato a noi, e inoltre, rallenta e danneggia il ritmo produttivo del nostro cliente. Come vedete, già in questo esempio si comprende il doppio livello del nostro approccio: la tecnologia è testata in un ambiente reale, per verificare se riesce a realizzare un’integrazione, una connessione più fluida fra noi e il nostro cliente.
LM: Passiamo al cloud. Non è qualcosa che riguarda solo l’architettura IT? Che rilevanza ha per un operatore logistico?
PC: Ne ha eccome. A nostro avviso questa è sì una componente essenzialmente tecnologica, ma è anche qualcosa che presuppone fortemente una “scelta di campo”. Non possiamo non prenderlo in considerazione oggi, perché gli sviluppatori stessi stanno portando su cloud intere porzioni di software. Chiunque, pertanto, se non ha valutato bene quale strada percorrere, rischia di non poter fare più scelte autonome in fatto di software, arrivando in futuro a subire solo le decisioni dei grandi vendor, in un senso o nell’altro. Ecco perché anche dal canto nostro stiamo verificando quali dei nostri applicativi potrebbero migrare con successo su una piattaforma cloud, anche in questo caso con livelli diversi di sperimentazione, cominciando per lo più con sistemi di back office, quali CRM o ERP. Per quanto riguarda i dipartimentali di magazzino il discorso cloud è da valutare con estrema attenzione ed è quello che stiamo facendo.
LM: Nel vostro panel tecnologico si parla poi di dematerializzazione.
PC: Che per me ha una valenza fondamentale perché ritengo che i processi basati su carta nascondano una voragine di inefficienza, una colossale perdita di tempo e di denaro. Il mercato ci chiede di razionalizzare allo stremo il flusso fisico e il flusso dell’informazione: non abbiamo più posto né tempo per gestire un terzo flusso, quello della carta. I primi due sono realtà complesse sulle quali è sempre possibile studiare variazioni e miglioramenti; il terzo va semplicemente eliminato, perché impatta negativamente sugli altri. E tutto è maturo affinché ciò avvenga: persino l’apparato legislativo in generale prescrive la dematerializzazione dei documenti. Resta da cambiare la mentalità delle persone, applicando le tecnologie già esistenti, affinché la carta arrivi a costituire un minimo supporto di accompagnamento ai due flussi principali e non più un limite alla loro efficienza. Per questo, il coinvolgimento della filiera clienti/fornitori è un passo essenziale, anche se non è sempre il più semplice da compiere.
PC: E certamente lo è, ma se vediamo nel dettaglio i driver dell’industria 4.0, non riteniamo che tutti questi ci possano servire subito e indistintamente. Vogliamo essere innovativi, ma dobbiamo essere anche pragmatici. Per noi è fondamentale partire dall’assunto che, per essere 4.0, non serve riempire di sensori camion e navi: bisogna bensì capire dove si vuole arrivare, e soprattutto come. Quello che stiamo facendo è identificare, nei tanti driver tecnologici che l’Industry 4.0 ci propone, quelli che possono essere interessanti per noi, oggi per domani, non domani per chissà quando. Elenco alla mano, stiamo avviando una serie di Proof of Concept (PoC) o anche progetti veri e propri, ancorché limitati come tempi e come realizzazioni, nei quali le persone possano verificare sul campo i nuovi processi e soprattutto le nuove mentalità che vengono richieste per poter utilizzare queste tecnologie. Ora, il nostro percorso tecnologico si svolge in pratica su tre layer distinti, suddivisi per aree di applicazione. Abbiamo innanzitutto le tecnologie di digitalizzazione, comunicazione e collaborazione, quelle con cui entriamo in contatto con il mondo dei nostri clienti. Vi è poi il layer della produttività interna: dunque CRM, pianificazione, TMS/WMS, Big data, machine learning e logica del portale. Infine, vi è tutta l’area che noi identifichiamo come “end to end”: visibilità e tracciabilità, Internet of things, in una parola “convergenza” fra eventi finalizzata alla creazione di un flusso unico lungo il percorso, spesso molto complesso, che gli oggetti compiono da quando i nostri clienti li affidano a noi, a quando noi li consegniamo al loro destinatario finale.
Vediamo dunque i pillar classici del 4.0: Automazione, Robotizzazione, Internet of Things, Big Data, Intelligenza Artificiale, Realtà aumentata, Digitalizzazione e Stampa 3D. Applicando questo elenco alla nostra realtà, qualcosa subito si esclude. La stampa 3D ad esempio per noi è una prospettiva troppo remota in questo momento. Tante altre tecnologie invece risultano ben più consistenti o per la maturità del loro mercato, o per le caratteristiche della nostra realtà aziendale, o per la sollecitazione che riceviamo dai nostri clienti. Così dunque si compone il “nostro” elenco 4.0: RFID, Cloud, Dematerializzazione, Automatizzazione e Consenso, Portale B2B, Digital Workplace, IoT e convergenza di eventi concorrenti o complementari. Su tutte queste voci abbiamo avviato o stiamo progettando dei PoC, che possono essere più o meno teorici, più o meno distribuiti, ma di fatto si prefiggono tutti un duplice obiettivo: tecnologico – vedere se e come la tecnologia funziona – e organizzativo – vedere se e come le persone utilizzano queste soluzioni, con quali sforzi e con quali adeguamenti di metodo necessari per coglierne pienamente i vantaggi a livello aziendale.
LM: Non resta che vederli punto per punto.
PC: Cominciamo con la RFID, un progetto effettivo messo in campo per un nostro importante cliente, per il quale gestiamo l’asservimento alla linea di produzione delle materie prime e parti componenti. Siamo nel campo della logistica di produzione, uno dei settori applicativi che ci vedono forti. Per questo cliente noi gestiamo l’inbound dei pezzi componenti, provenienti da tutta Europa. In seguito, riceviamo dal cliente la cosiddetta “velina”, ovvero la distinta base che descrive tutto il kit personalizzato che servirà a costruire ogni singolo prodotto. Preleviamo i vari componenti dal nostro magazzino e li mettiamo nei contenitori, che sono identificati con tag RFID. L’identificativo consente di tracciare ogni kit che esce dal nostro sito e ogni kit che entra in fabbrica, verificando in entrambi i casi il contenuto in automatico. I vantaggi sono allo studio, ma posso già dire che la garanzia di precisione in questo caso è un elemento essenziale sia per il produttore che per il fornitore logistico: innanzitutto, ogni errore nella composizione dei kit è addebitato a noi, e inoltre, rallenta e danneggia il ritmo produttivo del nostro cliente. Come vedete, già in questo esempio si comprende il doppio livello del nostro approccio: la tecnologia è testata in un ambiente reale, per verificare se riesce a realizzare un’integrazione, una connessione più fluida fra noi e il nostro cliente.
LM: Passiamo al cloud. Non è qualcosa che riguarda solo l’architettura IT? Che rilevanza ha per un operatore logistico?
PC: Ne ha eccome. A nostro avviso questa è sì una componente essenzialmente tecnologica, ma è anche qualcosa che presuppone fortemente una “scelta di campo”. Non possiamo non prenderlo in considerazione oggi, perché gli sviluppatori stessi stanno portando su cloud intere porzioni di software. Chiunque, pertanto, se non ha valutato bene quale strada percorrere, rischia di non poter fare più scelte autonome in fatto di software, arrivando in futuro a subire solo le decisioni dei grandi vendor, in un senso o nell’altro. Ecco perché anche dal canto nostro stiamo verificando quali dei nostri applicativi potrebbero migrare con successo su una piattaforma cloud, anche in questo caso con livelli diversi di sperimentazione, cominciando per lo più con sistemi di back office, quali CRM o ERP. Per quanto riguarda i dipartimentali di magazzino il discorso cloud è da valutare con estrema attenzione ed è quello che stiamo facendo.
LM: Nel vostro panel tecnologico si parla poi di dematerializzazione.
PC: Che per me ha una valenza fondamentale perché ritengo che i processi basati su carta nascondano una voragine di inefficienza, una colossale perdita di tempo e di denaro. Il mercato ci chiede di razionalizzare allo stremo il flusso fisico e il flusso dell’informazione: non abbiamo più posto né tempo per gestire un terzo flusso, quello della carta. I primi due sono realtà complesse sulle quali è sempre possibile studiare variazioni e miglioramenti; il terzo va semplicemente eliminato, perché impatta negativamente sugli altri. E tutto è maturo affinché ciò avvenga: persino l’apparato legislativo in generale prescrive la dematerializzazione dei documenti. Resta da cambiare la mentalità delle persone, applicando le tecnologie già esistenti, affinché la carta arrivi a costituire un minimo supporto di accompagnamento ai due flussi principali e non più un limite alla loro efficienza. Per questo, il coinvolgimento della filiera clienti/fornitori è un passo essenziale, anche se non è sempre il più semplice da compiere.

LM: Del vostro quadro, resta da menzionare l’Identity Management. Sembra solo un aspetto di dettaglio. Perché è così importante per voi?
PC: Sono tutti tasselli di un disegno che in realtà è ben più ampio. Stiamo immaginando un mondo in cui Arcese sarà in grado di identificare - Identity Management - chiunque stia bussando alla sua porta, sia esso cliente, dipendente, fornitore. Chiunque. Rispetto all’intero “palazzo” che è Arcese, questa persona sarà autorizzata a recarsi in una o più stanze, che è quella porzione del mondo Arcese a cui ogni persona può accedere a seconda della sua identità. Ma questa configurazione avverrà solo la prima volta – Single Sign On –. Qual è il vantaggio? Che chiunque di noi dovrà bussare una sola volta. E non, come ora, ridigitare la propria password mille volte, ogni volta che cambia sistema, applicativo, magazzino o progetto. Identificata la prima volta, ogni persona che entra in contatto con il mondo Arcese, sarà riconosciuta per sempre e ovunque.
Dal punto di vista tecnologico questo obiettivo è molto pesante da realizzare e ci vede attivi in diversi PoC, che tengono in considerazione aspetti strategici che vanno dal rispetto della privacy fino alla difesa dagli attacchi informatici. Devo aggiungere però che, strettamente connessi ai punti precedenti, vi sono anche i progetti di digital workplace e portale B2B, che stiamo discutendo trasversalmente con l’intera organizzazione. Il digital workplace – Aplace – sarà il punto di accesso da parte di tutti i dipendenti alle informazioni del Gruppo oltre alle applicazioni lavorative e strumenti collaborativi. Ma non solo, darà inoltre la possibilità a chiunque di lavorare su dati e documenti condivisi e non più su file locali. Immaginate un flusso logistico come il nostro: in parallelo ad un corrispondente flusso fisico, abbiamo un documento che esce da un magazzino e sale su un camion, poi si imbarca su una nave; scende dalla nave e sale su un treno; scende dal treno, entra in un altro magazzino e così via.
Ad ognuna di queste tappe un qualunque operatore riceve questo documento per mail, o lo scarica sul suo PC, o lo mette in una cartella, o lo stampa sulla sua scrivania, poi lo invia con la sua posta; ogni documento viene duplicato cinque, dieci volte, ad ogni passaggio lungo la catena. Questo non è più possibile. Non vogliamo più un mondo composto da tanti PC che moltiplicano localmente lo stesso oggetto. Vogliamo un mondo in cui ogni PC, come ogni tablet o smartphone, è semplicemente una finestra (tecnologia come commodity, ricordate?) che accede allo stesso punto centrale, alla stessa informazione condivisa. Un solo documento valido per tutta l’azienda, verificabile e accessibile da chiunque in base alle credenziali che l’azienda gli ha attribuito (Identità). Un solo polo che integra tanti servizi diversi e rende disponibili tutti i documenti a livello centrale (portale B2B). Ecco che si profila un quadro tecnologico nel quale nessun aspetto può essere perseguito separatamente dagli altri. E nel quale si deve, innanzitutto, partire dalle persone per cambiare il loro modo di lavorare.
LM: Siamo infine all’IoT e alla convergenza degli eventi.
PC: Certo. Finora abbiamo parlato di strategie in corso, di che cosa stiamo facendo e come. Tutto quanto descritto, per quanto innovativo, appartiene però ancora ad un “paradigma” tradizionale, quello che si è affermato con la nascita dell’IT come la conosciamo adesso. Quello che immaginiamo è un futuro nel quale questo paradigma verrà stravolto. Il nuovo paradigma, che andrà a sostituirlo, è composto da elementi di elaborazione caratterizzati da velocità e capacità che il cervello umano non possiede. Di umano ci sarà solo la nostra capacità di supervisionare e controllare un flusso che si connoterà in un modo completamente diverso da ora. Il nostro ruolo in azienda, in questo senso, è molto delicato: come posso impegnare la mia organizzazione a lavorare per un obiettivo che oggi ancora non esiste? Ricordiamoci che le idee devono uscire allo scoperto al momento giusto, non prima, altrimenti è solo energia inutilmente sprecata. Ciononostante, io voglio già preparare la mia organizzazione ad un futuro in cui potrà intraprendere questa strada, anche se oggi la strada ancora non c’è. Sono certo infatti che, domani, lo strumento che la mia organizzazione si troverà in mano, avrà una potenza dirompente.
Il nostro progetto “convergenza” mette insieme quindi elementi di Internet delle Cose per preparare il terreno alla gestione di Big Data anche e soprattutto con l’aiuto di intelligenza artificiale. In sostanza, ogni passaggio fisico o logico potrà alimentare un flusso di dati e l’analisi intelligente di questo patrimonio di dati sarà, grazie all’intelligenza artificiale, autodeterminante sui passaggi successivi. Parliamo in concreto di una piattaforma informatica capace di collezionare, interpretare e razionalizzare informazioni che arrivano direttamente da device di campo o da sorgenti webservices o semplicemente da tablet e smartphone che tra loro possono essere ridondanti, concorrenti o addirittura complementari e di metterle a disposizione del processo di gestione del trasporto e della flotta.
Quello che stiamo attualmente valutando sono non solo i singoli elementi - eventi, dati e intelligenza artificiale – ma anche gli obiettivi del sistema stesso, nell’ambito di un panorama tecnologico che parte da elementi già oggi disponibili sul mercato – sensori, dispositivi di campo, reti di comunicazione, architetture software per la condivisione dei dati – per interpretarli in modo completamente nuovo. Tanto nuovo e potente che il risultato non possa essere ancora veramente immaginato.
LM: Tutto questo è un’iniziativa personale di Piero Campelli? Quali competenze ha maturato per poter intraprendere questo cammino?
PC: Non nasce da me solo, naturalmente, ma da un percorso che l’azienda aveva già avviato. Innanzitutto, prima di entrare in Arcese, ho ricoperto anche ruoli operativi in logistica. So che non c’è novità che possa andare lontano, se non la si fa camminare con le gambe delle persone. Sottolineo il fatto che, per il Gruppo Arcese, ho assunto la duplice figura di CIO e di Corporate Process Manager: l’abbiamo detto più volte, processi e tecnologia devono procedere congiuntamente. E soprattutto, in Arcese ho trovato una via maestra già tracciata verso l’innovazione. Infatti, il percorso qui descritto aveva già visto la luce in azienda alcuni anni fa, ad opera del precedente CIO Elena Battini, che attualmente ci sta ancora affiancando nella trasformazione digitale. Da un lato dunque il mio predecessore, essendo una persona fortemente orientata alla tecnologia e all’innovazione, aveva già ampiamente preparato il terreno, dall’altro lato però ho trovato in questa realtà un altro aspetto che risulta determinante nel successo o nel fallimento di progetti innovativi: il coinvolgimento del top management. Avendo ricoperto ruoli diversi, in contesti diversi, conosco il senso di frustrazione che deriva dal tentare di farsi approvare investimenti che il management non capisce o ancora non conosce.
Nel Gruppo Arcese, invece, il management conosce, capisce e soprattutto appoggia le nostre ricerche. A noi resta dunque solo l’impegno quotidiano del renderle produttive e di calarle nella realtà aziendale che stiamo vivendo. Possiamo contare quindi su una visione condivisa, un approccio aziendale verso gli investimenti e verso l’innovazione, che ci permette di affrontare le inevitabili criticità pratiche con molto entusiasmo e che, a mio avviso, ci consentirà di ottenere il meglio dalle nuove tecnologie, realizzando i tanti vantaggi aperti dall’Industry 4.0 nell’ambito di un piano coordinato e strategico per tutta l’azienda.
PC: Sono tutti tasselli di un disegno che in realtà è ben più ampio. Stiamo immaginando un mondo in cui Arcese sarà in grado di identificare - Identity Management - chiunque stia bussando alla sua porta, sia esso cliente, dipendente, fornitore. Chiunque. Rispetto all’intero “palazzo” che è Arcese, questa persona sarà autorizzata a recarsi in una o più stanze, che è quella porzione del mondo Arcese a cui ogni persona può accedere a seconda della sua identità. Ma questa configurazione avverrà solo la prima volta – Single Sign On –. Qual è il vantaggio? Che chiunque di noi dovrà bussare una sola volta. E non, come ora, ridigitare la propria password mille volte, ogni volta che cambia sistema, applicativo, magazzino o progetto. Identificata la prima volta, ogni persona che entra in contatto con il mondo Arcese, sarà riconosciuta per sempre e ovunque.
Dal punto di vista tecnologico questo obiettivo è molto pesante da realizzare e ci vede attivi in diversi PoC, che tengono in considerazione aspetti strategici che vanno dal rispetto della privacy fino alla difesa dagli attacchi informatici. Devo aggiungere però che, strettamente connessi ai punti precedenti, vi sono anche i progetti di digital workplace e portale B2B, che stiamo discutendo trasversalmente con l’intera organizzazione. Il digital workplace – Aplace – sarà il punto di accesso da parte di tutti i dipendenti alle informazioni del Gruppo oltre alle applicazioni lavorative e strumenti collaborativi. Ma non solo, darà inoltre la possibilità a chiunque di lavorare su dati e documenti condivisi e non più su file locali. Immaginate un flusso logistico come il nostro: in parallelo ad un corrispondente flusso fisico, abbiamo un documento che esce da un magazzino e sale su un camion, poi si imbarca su una nave; scende dalla nave e sale su un treno; scende dal treno, entra in un altro magazzino e così via.
Ad ognuna di queste tappe un qualunque operatore riceve questo documento per mail, o lo scarica sul suo PC, o lo mette in una cartella, o lo stampa sulla sua scrivania, poi lo invia con la sua posta; ogni documento viene duplicato cinque, dieci volte, ad ogni passaggio lungo la catena. Questo non è più possibile. Non vogliamo più un mondo composto da tanti PC che moltiplicano localmente lo stesso oggetto. Vogliamo un mondo in cui ogni PC, come ogni tablet o smartphone, è semplicemente una finestra (tecnologia come commodity, ricordate?) che accede allo stesso punto centrale, alla stessa informazione condivisa. Un solo documento valido per tutta l’azienda, verificabile e accessibile da chiunque in base alle credenziali che l’azienda gli ha attribuito (Identità). Un solo polo che integra tanti servizi diversi e rende disponibili tutti i documenti a livello centrale (portale B2B). Ecco che si profila un quadro tecnologico nel quale nessun aspetto può essere perseguito separatamente dagli altri. E nel quale si deve, innanzitutto, partire dalle persone per cambiare il loro modo di lavorare.
LM: Siamo infine all’IoT e alla convergenza degli eventi.
PC: Certo. Finora abbiamo parlato di strategie in corso, di che cosa stiamo facendo e come. Tutto quanto descritto, per quanto innovativo, appartiene però ancora ad un “paradigma” tradizionale, quello che si è affermato con la nascita dell’IT come la conosciamo adesso. Quello che immaginiamo è un futuro nel quale questo paradigma verrà stravolto. Il nuovo paradigma, che andrà a sostituirlo, è composto da elementi di elaborazione caratterizzati da velocità e capacità che il cervello umano non possiede. Di umano ci sarà solo la nostra capacità di supervisionare e controllare un flusso che si connoterà in un modo completamente diverso da ora. Il nostro ruolo in azienda, in questo senso, è molto delicato: come posso impegnare la mia organizzazione a lavorare per un obiettivo che oggi ancora non esiste? Ricordiamoci che le idee devono uscire allo scoperto al momento giusto, non prima, altrimenti è solo energia inutilmente sprecata. Ciononostante, io voglio già preparare la mia organizzazione ad un futuro in cui potrà intraprendere questa strada, anche se oggi la strada ancora non c’è. Sono certo infatti che, domani, lo strumento che la mia organizzazione si troverà in mano, avrà una potenza dirompente.
Il nostro progetto “convergenza” mette insieme quindi elementi di Internet delle Cose per preparare il terreno alla gestione di Big Data anche e soprattutto con l’aiuto di intelligenza artificiale. In sostanza, ogni passaggio fisico o logico potrà alimentare un flusso di dati e l’analisi intelligente di questo patrimonio di dati sarà, grazie all’intelligenza artificiale, autodeterminante sui passaggi successivi. Parliamo in concreto di una piattaforma informatica capace di collezionare, interpretare e razionalizzare informazioni che arrivano direttamente da device di campo o da sorgenti webservices o semplicemente da tablet e smartphone che tra loro possono essere ridondanti, concorrenti o addirittura complementari e di metterle a disposizione del processo di gestione del trasporto e della flotta.
Quello che stiamo attualmente valutando sono non solo i singoli elementi - eventi, dati e intelligenza artificiale – ma anche gli obiettivi del sistema stesso, nell’ambito di un panorama tecnologico che parte da elementi già oggi disponibili sul mercato – sensori, dispositivi di campo, reti di comunicazione, architetture software per la condivisione dei dati – per interpretarli in modo completamente nuovo. Tanto nuovo e potente che il risultato non possa essere ancora veramente immaginato.
LM: Tutto questo è un’iniziativa personale di Piero Campelli? Quali competenze ha maturato per poter intraprendere questo cammino?
PC: Non nasce da me solo, naturalmente, ma da un percorso che l’azienda aveva già avviato. Innanzitutto, prima di entrare in Arcese, ho ricoperto anche ruoli operativi in logistica. So che non c’è novità che possa andare lontano, se non la si fa camminare con le gambe delle persone. Sottolineo il fatto che, per il Gruppo Arcese, ho assunto la duplice figura di CIO e di Corporate Process Manager: l’abbiamo detto più volte, processi e tecnologia devono procedere congiuntamente. E soprattutto, in Arcese ho trovato una via maestra già tracciata verso l’innovazione. Infatti, il percorso qui descritto aveva già visto la luce in azienda alcuni anni fa, ad opera del precedente CIO Elena Battini, che attualmente ci sta ancora affiancando nella trasformazione digitale. Da un lato dunque il mio predecessore, essendo una persona fortemente orientata alla tecnologia e all’innovazione, aveva già ampiamente preparato il terreno, dall’altro lato però ho trovato in questa realtà un altro aspetto che risulta determinante nel successo o nel fallimento di progetti innovativi: il coinvolgimento del top management. Avendo ricoperto ruoli diversi, in contesti diversi, conosco il senso di frustrazione che deriva dal tentare di farsi approvare investimenti che il management non capisce o ancora non conosce.
Nel Gruppo Arcese, invece, il management conosce, capisce e soprattutto appoggia le nostre ricerche. A noi resta dunque solo l’impegno quotidiano del renderle produttive e di calarle nella realtà aziendale che stiamo vivendo. Possiamo contare quindi su una visione condivisa, un approccio aziendale verso gli investimenti e verso l’innovazione, che ci permette di affrontare le inevitabili criticità pratiche con molto entusiasmo e che, a mio avviso, ci consentirà di ottenere il meglio dalle nuove tecnologie, realizzando i tanti vantaggi aperti dall’Industry 4.0 nell’ambito di un piano coordinato e strategico per tutta l’azienda.