“Tempesta perfetta sui mari”, l’ultimo scritto del prof. Sergio Bologna, è stato recentemente presentato a Milano in un evento organizzato da Fedespedi. Il libro si propone come un’attenta analisi del mondo dello shipping e della logistica, caratterizzato da una crescente competizione tra le compagnie e da una altrettanto forte congestione dei porti.
L’evento, moderato da Roberto Alberti, presidente di Fedespedi, ha visto la partecipazione di alcuni esperti italiani del mondo del trasporto navale: Tirreno Bianchi, console della Compagnia Portuale Pietro Chiesa di Genova, Zeno D’Agostino, presidente dell’autorità di sistema portuale del mare Adriatico orientale e autore della prefazione del libro, il senatore Marco Filippi, membro della commissione trasporti del Senato.
Prendendo spunto dalla crisi del colosso coreano Hanjin, settima compagnia navale del mondo, lo studio si concentra sull’attuale stato di salute del settore che, secondo Bologna, rischia di incappare in una bolla finanziaria come già successo per il mercato immobiliare. I trascorsi come docente, presso università italiane e estere, di discipline riguardanti come storia del movimento operaio e della società industriale in Italia e all’estero, conferiscono allo studioso un approccio orientato al rispetto dei diritti dei lavoratori, pur inquadrandoli nell’ampio orizzonte della società industrializzata di oggi.
Lo sguardo del professore non si sofferma infatti solo sulla complessità dei problemi tecnici ma punta a riportare al centro dell’attenzione i lavoratori, i primi a pagare le conseguenze dell’attuale assetto della finanza navale. La frattura registrabile tra finanza ed economia reale ha portato infatti a un peggioramento delle condizioni lavorative degli operatori portuali, a cui sono rivolte richieste di performance sempre più elevate, senza una reale corrispondenza dell’aumento delle retribuzioni. Per far fronte alla crescente competizione tra le compagnie navali si ricorre infatti sempre più spesso all’abbassamento dei livelli contributivi, così da non soccombere nel confronto con le proposte dei paesi emergenti.
Tale politica affermatasi in Italia risulta essere inefficace, secondo il prof. Bologna, il quale sottolinea la necessità per i porti nazionali di investire nella ricerca e nell’innovazione, utili per lo sviluppo di nuovi servizi che forniscano un valore aggiunto all’offerta italiana. Un’evoluzione che dovrebbe interessare quindi gli interi modelli di sviluppo e che vede fondamentale la partecipazione ed il coinvolgimento tanto del mondo dell’economia quanto di quello della politica. Esempio di come l’organizzazione possa cambiare è lo stesso porto di Trieste, proposto da Zeno D’Agostino come modello alternativo, in cui si è ripartiti dall’uomo per creare le base per il successo futuro. Strategia che ha nel tempo dato i suoi frutti, facendo di Trieste il primo porto di Italia per il 2016 e punto nevralgico per i contatti tra Italia e nord Europa. Il gigantismo navale, è un altro punto affrontato durante il dibattito tra gli studiosi, mettendone in luce le conseguenze, tra cui il sempre minor margine di azione lasciato alle piccole compagnie.
La concentrazione nelle mani di pochi colossi di un gran numero di servizi e la gestioni di enormi volumi di traffico, sembra essere un effetto opposto rispetto a quello atteso da un contesto globalizzato. Si è inoltre registrato un aumento notevole delle dimensioni stesse delle navi portacontainer, realizzate per viaggiare a basse velocità, limitando così i consumi di carburante e le emissioni inquinanti, permettendo alle sole grandi compagnie di soddisfare quindi anche i parametri di efficienza ambientale. Tali elementi hanno però portato anche ad un abbassamento dei costi del trasporto, retto con maggiore facilità solo da parte delle grandi compagnie. Tale gigantismo oggi però non risponde più alle esigenze del mercato, ponendo l’intero sistema a rischio a causa del forte squilibrio creatosi al suo interno. Il potere dei colossi dei mari è ormai tale da poter poi stabilire il successo dei porti, o al contrario a siglarne il fallimento, imponendo ai lavoratori una flessibilità sempre maggiore. Al contrario la formazione e l’aggiornamento degli stessi lavoratori sembra non essere una priorità per le aziende, che spesso non hanno neanche piena consapevolezza delle caratteristiche e delle necessità della propria forza lavoro.
Secondo gli esperti, la realtà italiana paga inoltre la mancanza di un piano di logistica navale nazionale in grado di orientare al meglio gli investimenti e la gestione delle risorse a favore cioè dei soli grandi centri portuali, o al contrario, ridistribuendole sull’intero tessuto portuale nazionale. Il dualismo hub strategici-piccoli porti è infatti uno degli elementi caratteristici del nostro paese e vede il coinvolgimento di entrambe le realtà, a seconda del tipo di commercio. Il traffico dei container è negli ultimi anni aumentato costantemente verso i porti minori, e non solo verso gli hub principali, dimostrando una tendenza diversa da quella attesa.
Questo dimostra come anche il trasporto navale sia legato alla presenza di un distretto di riferimento, alle spalle dei porti, le cui necessità vanno soddisfatte. Maggior attenzione dovrebbe quindi essere rivolta all’intera catena logistica e non solo ai singoli porti, elemento questo che sarebbe di più facile attuazione se le stesse autorità portuali facessero propria una maggiore competenza e agilità imprenditoriale. Risulta non più possibile quindi lasciare in secondo piano i compromessi fatti dalle grandi compagnie per raggiungere l’eccellenza e il massimo profitto urge, al contrario, una profonda riflessione sulla necessità di adottare diversi parametri negli investimenti e diversi modelli di business nelle imprese. Ripartire dall’uomo, per il Prof. Bologna, risulta allora necessario per pianificare strategie davvero competitive in grado di rilanciare il settore.