di Michela Del Pizzo
L'assemblea generale di Assoporti - Associazione Porti Italiani, dal titolo “Porti: le formule della competitività. Alla ricerca delle soluzioni europee per autonomia, governance e logistica” e svoltasi a fine luglio a Roma, è stata l'occasione per ascoltare le prime impressioni, da parte degli addetti ai lavori, sul Piano Strategico Nazionale della Portualità e della Logistica, approvato in via preliminare dal Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Graziano Delrio, lo scorso 3 luglio. Il Piano Strategico Nazionale della Portualità e della Logistica è adottato in attuazione dell’articolo 29, comma 1, del decreto legge n. 133 del 2014 (ribattezzato "Sblocca Italia") convertito, con modificazioni, dalla legge n. 164 del 2014.
In prospettiva, il Piano costituirà uno dei piani di settore che andranno a confluire nel Documento di Programmazione Pluriennale che quest’Amministrazione intende redigere ed approvare entro la fine di quest'anno, secondo quanto disposto dal decreto legislativo n. 228 del 2011, e nella cornice del Piano Strategico Nazionale dei Trasporti e della Logistica.
Intervenuto personalmente all'assemblea di Assoporti, il ministro Delrio ha insistito sulle “due cure” necessarie a far ripartire il sistema economico del Paese: la “cura del ferro”, riferita al rilancio dei trasporti ferroviari, e la “cura dell'acqua”, basata sulla necessità di investire sulla portualità come opportunità per attrarre nuovi investimenti. «È doveroso inoltre – prosegue sempre Delrio – mettere in atto una strategia nazionale, seguendo tre fondamentali principi guida: 1) partire sempre dall'economia reale e non dalle singole infrastrutture portuali, approcciate spesso in maniera troppo autoreferenziale; 2) avere un approccio integrato, calato dentro un più vasto dossier “Blue economy”, che sappia trasversalmente cogliere e mettere in valore tutti gli asset di crescita derivanti potenzialmente dalla “risorsa mare”, come l'abbiamo definita nel Piano, in termini di sostegno all'industria manifatturiera, servizi, turismo, sviluppo territoriale, crescita della capacità logistica, risposte alla domanda di mobilità, ecc.; 3) attuare una politica nazionale di posizionamento strategico, nel mercato mondiale, del sistema portuale italiano. Dentro questa cornice, stiamo calando il lavoro concreto affinché tali domande di efficienza possano trovare rapidamente risposte vere».
Soffermandosi sui contenuti del Piano, il presidente di Assoporti, Pasqualino Monti, ha invece sottolineato la necessità di intervenire su quattro fronti scottanti: l’autonomia decisionale e finanziaria che, come emerso dalle relazioni degli ospiti internazionali all’assemblea, è stata la principale chiave del successo di grandi porti come Rotterdam o Barcellona; la governance portuale e quindi la necessità di abbattere le barriere burocratiche, spesso causate dalla presenza in porto di troppe competenze non coordinate, che condizionano l’efficienza del sistema portuale; la governance della catena logistica ed infine i rapporti con il governo nazionale e locale. «I dati che emergono dal Piano parlano di un cluster logistico che incide per il 14% sul PIL nazionale [Figura 1, ndr]; incide direttamente – sottolinea il presidente di Assoporti – per il 14%, perché indirettamente il valore strategico di questo cluster è infinitamente più alto. Un milione di addetti, 160.000 imprese, 41 milioni di passeggeri che calcano le nostre banchine, un primato europeo nelle crociere con oltre 10 milioni di turisti, il 13% dell’interscambio via mare dell’Unione europea. Il Piano prevede un coordinamento nazionale forte ed efficace in capo al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Prevede uno snellimento e una semplificazione di tutta la governance, anche attraverso la creazione dello Sportello Unico dei Controlli; punta a una maggiore concorrenza, alla trasparenza, all’upgrading dei servizi, alla definizione di criteri di priorità nelle scelte delle infrastrutture da realizzare; si pone come traguardo l’accessibilità ai collegamenti marittimi e terrestri. Siamo d’accordo e da tempo su queste linee guida. Ma siamo oggi anche consci del rovescio di questa medaglia, delle tante carenze che impediscono ad esempio al sistema Italia di attrarre quelle merci provenienti da Svizzera, Austria, Sud Germania che naturalmente dovrebbero gravitare sulla nostra portualità; quelle carenze, e questo è ancora peggio, che consentono alla portualità nord europea di drenare costantemente traffico, merci e anche gettito fiscale, anche solo per Iva e dazi all’import, che dovrebbe affluire naturalmente nelle casse del Paese, carenze dovute al mancato dialogo tra le diverse modalità di trasporto ed alle “strozzature” dell’ultimo miglio».
Assoporti ricorda di sostenere con forza il Piano della logistica e dei porti, ma il suo contributo consiste anche in un costante confronto con quanto accade nella portualità europea alla ricerca delle formule di competitività che fanno, ad esempio, di Rotterdam (all’assemblea era presente il direttore generale Victor Schoenmakers), con 180.000 dipendenti, un fatturato di 660 milioni di euro e profitti per 215 milioni di euro (Figura 1), la colonna portante dell’economia olandese. «Il Piano della logistica e dei porti, per il quale Assoporti si è battuta sin dall’inizio, – sostiene Pasqualino Monti – è la cornice all’interno della quale programmare lo sviluppo, tanto per gli interventi infrastrutturali quanto per quelli non infrastrutturali, al fine di dare al sistema portuale e logistico italiano un'organizzazione capace di regolare e programmare le attività connesse alle radici marittime dei corridoi essenziali europei protesi, da un lato verso le aree europee dell’Europa continentale e dall’altro a Sud e Sud Est, verso il fronte settentrionale dell’Africa, il Medio Oriente ed il Mediterraneo Orientale, in piena coerenza con gli indirizzi di sviluppo delle reti TEN-T e le politiche euro-mediterranee dell’Unione Europea. Il Piano della logistica è anche l’occasione, come evidenziato nel Piano stesso, per una nuova coesione e collaborazione nel Mediterraneo, oltre che l’occasione per un grande rilancio del Mezzogiorno».
Sistema marittimo italiano: l'attuale scenario
Dal 2005 al 2014, si sono registrati un decremento del 6,5% circa di traffico merci e un -7% circa di traffico passeggeri; solamente le crociere sono cresciute del 10% circa l’anno. Nel frattempo, nel Mediterraneo è triplicato il traffico container nei primi trenta porti del Mediterraneo e lo stesso è avvenuto con i passaggi Nord-Sud attraverso il Canale di Suez (il raddoppio del Canale permetterà un ulteriore aumento dei traffici). Di contro, l’Italia ha continuato a perdere posizioni, restando dietro a Olanda, Germania, Francia e Marocco.
Oltre alla crisi economica globale, il nostro sistema sconta deficit strutturali e uno scarso coordinamento nazionale: sono presenti 24 Autorità Portuali, 336 membri complessivi nei Comitati Portuali e in ogni porto si contano 113 provvedimenti amministrativi all’import/export gestiti da 23 soggetti pubblici responsabili dei controlli. Inoltre, ognuna delle 24 Autorità Portuali decide in autonomia le priorità di investimento infrastrutturale nei porti (attualmente vi sono progetti finanziati per circa 5 miliardi di euro), al di fuori di un piano nazionale e strategico, con una dispersione di risorse e di efficacia complessiva (il cosiddetto “particolarismo portuale”).
Non tutto è perduto. Infatti, guardando al 2020, i traffici marittimi di merci e passeggeri possono crescere, premiando le risorse turistiche del Paese e l’eccellenza del made in Italy e valorizzando tutti i settori della Blue economy, dal commercio alla cantieristica, fino al turismo. Stando alle ultime stime, per le crociere si potrebbe raggiungere un +23% rispetto ai valori del 2014 (minimo e massimo), mentre per le merci si potrebbe avere un incremento tra il 12% e il 22% rispetto ai valori stimati per il 2015.
Uno sguardo al Piano
Stando a quanto riferito nella relazione illustrativa diffusa dal Ministero dei Trasporti a seguito dell'approvazione del Piano, il decreto legge Sblocca Italia ha anticipato un’esigenza che nel settore portuale e marittimo ha assunto le dimensioni di una vera e propria urgenza. Il nostro sistema portuale e logistico aveva bisogno già da tempo, infatti, di una riforma che consentisse al Paese di cogliere appieno la vasta gamma di opportunità di crescita e sviluppo ad esso strettamente correlati, contrastando la perdita di competitività che l’Italia sta subendo, come dimostrato dal differenziale di crescita tra i porti del Mediterraneo a fronte di un aumento generalizzato dei traffici nell’area.
L’Italia, infatti, pur sostenendo la strategia sulla nuova Politica Marittima integrata europea, lanciata dall’UE nel 2007, e contribuendo alla stesura del Libro Verde e del Libro Blu, basa la gestione del sistema portuale su una legge, per quanto meritoria, di oltre venti anni fa (legge n.84/1994). Mentre la portualità e la logistica marittima evolvono molto rapidamente nel Mediterraneo, in Europa ed a livello mondiale secondo schemi organizzativi ed industriali sempre più complessi, il Paese non aveva messo a punto una strategia marittima integrata. In questo quadro, la finalità che il Piano si propone non è solo quella di garantire un rilancio del settore portuale e logistico massimizzando il valore aggiunto che il “Sistema Mare” può garantire in termini puramente quantitativi di aumento dei traffici, ma anche quella di fare sì che tale sistema arrivi ad esplicare tutto il suo potenziale nella creazione di nuovo valore aggiunto in termini economici ed occupazionali per l’intero Paese.
Il Piano parte dall’analisi dei molteplici aspetti che condizionano le performance della portualità italiana, prospettando in primis il quadro normativo di riferimento europeo al fine di apportare un contributo alla declinazione su base nazionale, secondo scelte di governance e di indirizzo, delle linee di policy definite a livello europeo dai vari provvedimenti normativi comunitari di riferimento che rappresentano, nel loro insieme, la strategia comunitaria che definisce i Corridoi, le infrastrutture da realizzare, le priorità ed i tempi. In particolare il Piano tiene conto delle indicazioni contenute nel Libro Bianco del 2011 che rappresenta una pietra miliare nella politica dei trasporti dell’Unione Europea.
Nel documento si ribadisce l’importanza di investire su modalità sostenibili, sul completamento delle reti e sull’efficientamento dei sistemi di trasporto e logistici soprattutto con le nuove tecnologie, e si individuano alcuni macro obiettivi, analizzati nel contesto specifico della realtà italiana, tenendo conto della particolare conformazione geografica della penisola che assegna ai porti italiani la naturale funzione di gate dei sistemi territoriali economico-produttivi e dei consumi. Si analizzano poi gli aspetti legati agli accordi Euro-Mediterranei, gli scenari geo-economici globali di riferimento, l’andamento della domanda dei traffici nei diversi segmenti, l’attuale offerta infrastrutturale e dei servizi. Molto spazio è dedicato poi alla disamina delle vigenti procedure amministrative dei controlli / sdoganamento delle merci, considerate dalla letteratura quale una delle principali cause della scarsa competitività internazionale del sistema portuale nazionale. Ad essa si associa una normativa – in materia di escavi, dragaggi e approfondimento dei fondali resisi ormai indispensabili nella quasi totalità dei porti italiani – eccessivamente complessa e a tratti contraddittoria.
Così come insostenibile appare la stratificazione multilivello di iter procedurali, istituzionali ed amministrativi che rende impossibile l’adozione di un Piano Regolatore Portuale prima dei 10-12 anni dal momento della sua proposta di adozione da parte delle Autorità Portuali.
Sono evidenziati, pertanto, i punti di forza, debolezza, opportunità e minacce del sistema portuale e della logistica marittima, rappresentati sinteticamente nella tabella di SWOT che fa parte del piano (Figura 2).
Sulla base di tale analisi, sono stati individuati dieci obiettivi strategici, articolati al loro interno poi in specifiche azioni (Figura 3).
Un modello di governance da rivedere
L’attuale assetto della governance portuale è plasmato dalla legge n.84/94, al tempo stesso l’assetto attuale ha negli anni evidenziato limiti e distorsioni evidenti. Nello specifico, il Piano individua nella dimensione “mono-scalo” degli organi di governo dei porti uno dei fattori principali su cui intervenire, avendo tale assetto prodotto nel tempo una non efficiente allocazione delle risorse e degli investimenti. Anche per l’assenza di una stringente strategia nazionale volta a sviluppare il sistema portuale italiano nel suo complesso, tale dinamica ha alimentato negli anni dannosi fenomeni concorrenziali – soprattutto in termini di inefficaci investimenti accrescitivi della dotazione infrastrutturale – tra scali posti tra loro a pochi chilometri di distanza.
Nel complesso, il Piano si focalizza su uno dei fattori importanti su cui intervenire quali la dimensione “mono-scalo” degli organi di governo dei porti, che ha prodotto nel tempo una non efficiente allocazione delle risorse e degli investimenti, non permettendo di sviluppare il sistema portuale italiano nel suo complesso. Viene quindi proposto un nuovo modello di governance che pone tra gli strumenti serventi alla realizzazione degli obiettivi del Piano la razionalizzazione, il riassetto e l’accorpamento delle Autorità Portuali esistenti. In particolare, il Piano definisce una strategia di intervento ipotizzando l’ istituzione di Autorità di Sistema Portuale (AdSP), ipotizzando inoltre:
a) l’individuazione di un Centro Amministrativo Unico, identificato nella nuova AdSP, che potrebbe avere funzioni di raccordo nei confronti di tutte le amministrazioni pubbliche aventi competenza su attività da realizzarsi nell’ambito portuale.
b) La realizzazione di uno Sportello Unico per i Controlli, competente per tutti gli adempimenti connessi all’entrata/uscita delle merci nel/dal territorio nazionale, da identificarsi nell’Agenzia delle Dogane.
c) Il rafforzamento della valenza del Piano Regolatore di Sistema Portuale, adottato dall’AdSP, previa acquisizione del parere della Regione e del Comune, ed approvato dalla nuova Direzione Generale per la Portualità e la Logistica del MIT.
d) La semplificazione della struttura organizzativa e decisionale dell’AdSP.
e) L’ipotesi di dotazione di autonomia finanziaria per le AdSP.
f) La disciplina, all’interno degli strumenti legislativi mediante i quali sarà data attuazione ai principi contenuti nel Piano ed i successivi regolamenti di esecuzione, della riorganizzazione del personale delle attuali Autorità Portuali.
Infine, per meglio competere sui mercati globali, i porti limitrofi devono cooperare e coordinare le proprie scelte strategiche, infrastrutturali e di efficientamento dei servizi, per offrire alla potenziale domanda mondiale sistemi portuali “multipurposal”, efficienti, integrati e finalmente competitivi.