02-10-2024
In Italia, le aziende dimostrano una mancanza di cultura e sensibilità riguardo l’adozione di strumenti digitali avanzati per la pianificazione della supply chain; la maggior parte di esse, infatti, continua a operare manualmente su fogli di calcolo. Questo è quanto emerge dall’Osservatorio Supply Chain Planning del Politecnico di Milano, in partnership con REMIRA, che ha l’obiettivo di indagare il legame tra le trasformazioni globali delle supply chain, le esigenze di pianificazione che ne discendono e le opportunità offerte dalle nuove tecnologie di Information Technology e Operational Technology in Italia. La prima edizione dell'Osservatorio Supply Chain Planning si è conclusa con il convegno di fine settembre nell'Aula Magna del Politecnico di Milano, accompagnato da diverse testimonianze e panel di discussione a cui ha partecipato Matteo Sgatti, Regional Sales Manager di REMIRA Italia.
La ricerca ha preso in esame le risposte di 144 tra CIO, Executive IT, Innovation Manager e Responsabili R&D di aziende operanti in Italia di diverse dimensioni che utilizzano risorse e tecnologie per produrre beni finiti destinati al consumo o ad uso finale. La misurazione delle prestazioni della supply chain viene percepita come essenziale dalle imprese italiane: più dell’80% dichiara di utilizzare specifici KPI per la valutazione dell’efficacia e dell’efficienza della supply chain (tra cui puntualità, completezza, costo delle penali, valore dei danneggiamenti), tuttavia solo un terzo delle imprese misura un numero sufficientemente completo di KPI tecnici ed economici.
Questi dati testimoniano un limitato grado di maturità della maggior parte delle imprese italiane nella conoscenza dello “stato di salute” delle proprie supply chain e nell’adozione di strumenti tecnologici adeguati che permettano di raccogliere dati e, successivamente, interpretarli a supporto alle decisioni strategiche. Consapevoli - forse - di queste lacune, la maggioranza delle aziende attribuisce grande importanza nella predisposizione di ruoli dedicati alla pianificazione della supply chain all’interno del team di lavoro. In generale si osserva una differenza poco marcata tra le PMI (25%) e le grandi imprese (24%), il che indica una crescente percezione dell’importanza della pianificazione della catena di fornitura e della gestione del cambiamento tra tutte le imprese, indipendentemente dalla loro dimensione.
Secondo i dati raccolti dall’Osservatorio Supply Chain Planning, le aziende italiane dimostrano una mancanza di cultura del dato e sensibilità riguardo l’adozione di strumenti digitali avanzati per la pianificazione dei processi della supply chain. La maggior parte, infatti, non adotta strumenti che da tempo sono disponibili a supporto della digitalizzazione della catena di fornitura (come gli APS, Advanced Planning e Scheduling), ma continua a operare manualmente su fogli di calcolo basati su dati disponibili solo per ciascun reparto e senza una visione d’insieme, impedendo quindi il dialogo tra le varie business unit.
Nonostante l’incertezza a cui le imprese sono sottoposte in questo mutevole scenario economico e geopolitico, il 42% dichiara di non prevedere alcun processo strutturato per la gestione del rischio e 1 azienda su 2 non attua alcun tipo di processo di revisione della supply chain, ma fa affidamento solo sull’esperienza dei dirigenti. Questo approccio risulta essere fortemente limitativo, per il fatto che non si è in grado di gestire o prevenire fenomeni di rischio complessi che non si sono mai verificati in precedenza, oltre ad essere totalmente subordinato dalle decisioni di chi ha responsabilità dirigenziali.
La ricerca ha preso in esame le risposte di 144 tra CIO, Executive IT, Innovation Manager e Responsabili R&D di aziende operanti in Italia di diverse dimensioni che utilizzano risorse e tecnologie per produrre beni finiti destinati al consumo o ad uso finale. La misurazione delle prestazioni della supply chain viene percepita come essenziale dalle imprese italiane: più dell’80% dichiara di utilizzare specifici KPI per la valutazione dell’efficacia e dell’efficienza della supply chain (tra cui puntualità, completezza, costo delle penali, valore dei danneggiamenti), tuttavia solo un terzo delle imprese misura un numero sufficientemente completo di KPI tecnici ed economici.
Questi dati testimoniano un limitato grado di maturità della maggior parte delle imprese italiane nella conoscenza dello “stato di salute” delle proprie supply chain e nell’adozione di strumenti tecnologici adeguati che permettano di raccogliere dati e, successivamente, interpretarli a supporto alle decisioni strategiche. Consapevoli - forse - di queste lacune, la maggioranza delle aziende attribuisce grande importanza nella predisposizione di ruoli dedicati alla pianificazione della supply chain all’interno del team di lavoro. In generale si osserva una differenza poco marcata tra le PMI (25%) e le grandi imprese (24%), il che indica una crescente percezione dell’importanza della pianificazione della catena di fornitura e della gestione del cambiamento tra tutte le imprese, indipendentemente dalla loro dimensione.
Secondo i dati raccolti dall’Osservatorio Supply Chain Planning, le aziende italiane dimostrano una mancanza di cultura del dato e sensibilità riguardo l’adozione di strumenti digitali avanzati per la pianificazione dei processi della supply chain. La maggior parte, infatti, non adotta strumenti che da tempo sono disponibili a supporto della digitalizzazione della catena di fornitura (come gli APS, Advanced Planning e Scheduling), ma continua a operare manualmente su fogli di calcolo basati su dati disponibili solo per ciascun reparto e senza una visione d’insieme, impedendo quindi il dialogo tra le varie business unit.
Nonostante l’incertezza a cui le imprese sono sottoposte in questo mutevole scenario economico e geopolitico, il 42% dichiara di non prevedere alcun processo strutturato per la gestione del rischio e 1 azienda su 2 non attua alcun tipo di processo di revisione della supply chain, ma fa affidamento solo sull’esperienza dei dirigenti. Questo approccio risulta essere fortemente limitativo, per il fatto che non si è in grado di gestire o prevenire fenomeni di rischio complessi che non si sono mai verificati in precedenza, oltre ad essere totalmente subordinato dalle decisioni di chi ha responsabilità dirigenziali.