01-12-2020
Quest’anno, al posto del tradizionale Forum Internazionale dei Trasporti e della Logistica di Conftrasporto-Confcommercio, è stato presentato in diretta streaming il libro “Le analisi e le proposte per la logistica e le infrastrutture”, che racconta i 5 anni di esperienze del Forum di Conftrasporto-Confcommercio a Cernobbio: una storia di ordinaria burocrazia, di connessioni mancate e riforme al palo. Ma anche di passi compiuti e progetti futuri. L’evento online è stato l’occasione per ricordare il ritorno alla presidenza Contrasporto di Paolo Uggè, che succede a Fabrizio Palenzona. Con le prefazioni di Gianni Letta e di Paolo Uggè, il volume è pubblicato dalla casa editrice Il Mulino ed è stato curato dal responsabile dell’Ufficio Studi di Confcommercio Mariano Bella che, nel corso dell'evento online, ha illustrato i dati sullo stato di salute del settore.
Per Conftrasporto-Confcommercio la lotta ai cambiamenti climatici dev’essere assieme ambientale, sociale ed economica. La pandemia modificherà il nostro modo di lavorare e vivere, ma presto si riprenderà il percorso verso una riduzione dell’impatto ambientale di consumi e produzione planetari. L’Europa sarà protagonista, ma l’auspicio è che le spinte siano più pragmatiche che ideologiche. Se oggi in Italia circolano circa 22mila auto elettriche, l’obiettivo dell’Ue di raggiungere i 6 milioni nel 2030 sembra difficilmente centrabile. La ridotta autonomia, la carenza di colonnine, gli stessi tempi di ricarica fanno pensare che si preferiranno ancora per un po’ i motori a benzina o i diesel che, peraltro, hanno tassi di emissione eccezionalmente ridotti rispetto a quelli di 20 anni fa: il motore diesel nella sua versione più moderna emette 0,02 grammi di particolato per chilometro, il 90% in meno di quello emesso da un’auto immatricolata negli anni ’80. Ma l’Europa pare snobbare questi risultati, varando invece consistenti incentivi a favore dell’elettrico. Inoltre, negli ultimi 30 anni, in Italia e in Europa, si è fatto molto per contenere le emissioni climalteranti: dal 1991 al 2017, infatti, si sono ridotte, in Europa, del 25%, e in Italia di oltre il 20%.
Manifattura e trasporto pesante viaggiano, su questo piano, a ritmi eccellenti rispetto agli altri settori emissivi e al resto d’Europa. I punti deboli italiani sono rappresentati dall’utilizzo dell’energia per usi residenziali, dall’agricoltura e, soprattutto, dalla gestione dei rifiuti. Quest’ultima pesa più o meno come il trasporto pesante (4,5%). Ma mentre quello mostra un tasso di riduzione cumulato di GHG (gas ad effetto serra) di quasi il 30%, il settore della gestione dei rifiuti accresce le proprie emissioni del 5,5%.
Ciononostante lo Stato italiano continua a incrementare le tasse "ambientali" a carico del trasporto, destinando il maggior gettito al finanziamento di altre spese (terremoti, missioni internazionali di pace e alte emergenze di finanza pubblica). Succede così che un Tir Euro6 produce un costo esterno di 13,1 centesimi di euro per litro di carburante consumato, mentre paga di sola accisa netta 40,3 centesimi di euro (più del triplo). A conti fatti, l’autotrasporto pesante finanzia per più di un miliardo di euro l’anno qualche altra spesa pubblica che nulla ha a che fare con l’ambiente. Un’altra mazzata, inflittaci in nome dell’ambiente, arriva dall’Austria, e rivela uno squilibrio tra Paesi appartenenti alla stessa Unione Europea. La battaglia di Conftrasporto-Confcommercio contro le limitazioni dei Tir al Brennero è nota e i danni subiti dall’economia italiana sono stati più volte sottolineati nelle edizioni del Forum (370 milioni di euro persi all’anno per ogni ora di ritardo dei Tir al valico). Eppure negli ultimi quarant’anni, malgrado gli investimenti sul ferro e i sacrifici imposti all’Italia, il traffico merci su gomma ai valichi è più che triplicato, mentre quello su ferrovia è aumentato del 60%.
Nel libro si ribadisce quanto investire in infrastrutture sia fondamentale: basti pensare che l’accessibilità della Germania all’Italia e del Piemonte alle altre regioni genererebbero infatti un incremento del Pil rispettivamente di 90 e 67 miliardi di euro. L’Europa incoraggia questo sviluppo attraverso il disegno dei Corridoi europei plurimodali (ferroviari, marittimi e, in misura minore, stradali), mentre sul piano interno, il grande riferimento di cornice è il Sistema Nazionale Integrato dei Trasporti (SNIT), solo in parte realizzato. I ritardi cominciano con l’iter dei processi di finanziamento e proseguono nella fase di progettazione ed esecuzione che, nel campo delle opere pubbliche, ha tempi medi di oltre 4,5 anni, per arrivare 14,5 anni per quelle opere che hanno un valore superiore ai 100 milioni di euro. La burocrazia, la legislazione pericolosa e la paura ci impediscono di spendere le risorse impegnate. Le novità introdotte dal Decreto Sblocca Cantieri, convertito in legge il 17 giugno 2019, cercano di eliminare o mitigare gli effetti di alcuni “intoppi burocratici” a livello sia locale sia nazionale. Sono passi avanti da non sottovalutare.
Sul fronte marittimo, il sistema dei porti e della logistica si confronta con l’entrata di nuovi operatori globali che intercettano e sfruttano anche i cambiamenti degli equilibri economico-politici su scala planetaria, con la Cina a dettare tempi e modalità della nuova produzione e i porti del nord Europa -Rotterdam, Anversa e Amburgo – che hanno dimensioni da 4 a 6 volte superiori ai nostri. Da un’altra parte emerge l’inspiegabile rinuncia dell’Italia al transhipment, con pesanti ricadute su alcuni porti, a cominciare da Gioia Tauro. Nel 1995 le rotte transpacifiche valevano il 53% dei transiti globali e quelle di Asia-Europa il 27%: oggi le distanze si sono praticamente azzerate con una ripartizione, rispettivamente, del 45% e del 42%. Una crescita che, diversamente da quanto accade per altri Paesi europei, sembra non toccare l’Italia.
Non solo: tra il 2011 e il 2019 il volume delle merci lungo il Canale di Suez è cresciuto del 48,8%, da 692 a 1.030 milioni di tonnellate, mentre quello del sistema portuale italiano nel complesso è diminuito dello 0,8%, da 481 a 477 milioni di tonnellate. Quindi, buona parte del traffico aggiuntivo in entrata da Suez si è diretto verso gli scali collocati lungo le coste orientali del bacino del Mediterraneo: per esempio, il traffico complessivo dei porti iberici è cresciuto del 37%. Tra i nostri punti deboli, la scarsa connettività, la modesta qualità del lavoro, e una riforma dei porti non ancora pienamente attuata. Tra le buone pratiche, invece, la digitalizzazione delle procedure per lo sdoganamento delle merci in entrata e in uscita (Agenzia delle Dogane), che ha sciolto molti nodi burocratici accelerando i tempi, e l’esperienza coraggiosa di alcuni sistemi portuali. È il caso di Trieste che, anche grazie al nuovo quadro giuridico definitosi con l’istituzione delle Autorità dei Sistemi portuali, con un piano di sviluppo coordinato con quello degli Interporti regionali, la costituzione della Free Trade Zone e una forte intermodalità, è oggi il principale accesso al mercato del Centro-Est Europa sia per i flussi del traffico oltre-Suez sia per quelli intra-mediterranei.
Molto infine c’è ancora da fare sul piano della formazione e riqualificazione del personale, e questo vale per tutto il settore dei trasporti: su un indice di 100, infatti, la quota degli occupati con competenze digitali è pari solo a 2.
Per Conftrasporto-Confcommercio la lotta ai cambiamenti climatici dev’essere assieme ambientale, sociale ed economica. La pandemia modificherà il nostro modo di lavorare e vivere, ma presto si riprenderà il percorso verso una riduzione dell’impatto ambientale di consumi e produzione planetari. L’Europa sarà protagonista, ma l’auspicio è che le spinte siano più pragmatiche che ideologiche. Se oggi in Italia circolano circa 22mila auto elettriche, l’obiettivo dell’Ue di raggiungere i 6 milioni nel 2030 sembra difficilmente centrabile. La ridotta autonomia, la carenza di colonnine, gli stessi tempi di ricarica fanno pensare che si preferiranno ancora per un po’ i motori a benzina o i diesel che, peraltro, hanno tassi di emissione eccezionalmente ridotti rispetto a quelli di 20 anni fa: il motore diesel nella sua versione più moderna emette 0,02 grammi di particolato per chilometro, il 90% in meno di quello emesso da un’auto immatricolata negli anni ’80. Ma l’Europa pare snobbare questi risultati, varando invece consistenti incentivi a favore dell’elettrico. Inoltre, negli ultimi 30 anni, in Italia e in Europa, si è fatto molto per contenere le emissioni climalteranti: dal 1991 al 2017, infatti, si sono ridotte, in Europa, del 25%, e in Italia di oltre il 20%.
Manifattura e trasporto pesante viaggiano, su questo piano, a ritmi eccellenti rispetto agli altri settori emissivi e al resto d’Europa. I punti deboli italiani sono rappresentati dall’utilizzo dell’energia per usi residenziali, dall’agricoltura e, soprattutto, dalla gestione dei rifiuti. Quest’ultima pesa più o meno come il trasporto pesante (4,5%). Ma mentre quello mostra un tasso di riduzione cumulato di GHG (gas ad effetto serra) di quasi il 30%, il settore della gestione dei rifiuti accresce le proprie emissioni del 5,5%.
Ciononostante lo Stato italiano continua a incrementare le tasse "ambientali" a carico del trasporto, destinando il maggior gettito al finanziamento di altre spese (terremoti, missioni internazionali di pace e alte emergenze di finanza pubblica). Succede così che un Tir Euro6 produce un costo esterno di 13,1 centesimi di euro per litro di carburante consumato, mentre paga di sola accisa netta 40,3 centesimi di euro (più del triplo). A conti fatti, l’autotrasporto pesante finanzia per più di un miliardo di euro l’anno qualche altra spesa pubblica che nulla ha a che fare con l’ambiente. Un’altra mazzata, inflittaci in nome dell’ambiente, arriva dall’Austria, e rivela uno squilibrio tra Paesi appartenenti alla stessa Unione Europea. La battaglia di Conftrasporto-Confcommercio contro le limitazioni dei Tir al Brennero è nota e i danni subiti dall’economia italiana sono stati più volte sottolineati nelle edizioni del Forum (370 milioni di euro persi all’anno per ogni ora di ritardo dei Tir al valico). Eppure negli ultimi quarant’anni, malgrado gli investimenti sul ferro e i sacrifici imposti all’Italia, il traffico merci su gomma ai valichi è più che triplicato, mentre quello su ferrovia è aumentato del 60%.
Nel libro si ribadisce quanto investire in infrastrutture sia fondamentale: basti pensare che l’accessibilità della Germania all’Italia e del Piemonte alle altre regioni genererebbero infatti un incremento del Pil rispettivamente di 90 e 67 miliardi di euro. L’Europa incoraggia questo sviluppo attraverso il disegno dei Corridoi europei plurimodali (ferroviari, marittimi e, in misura minore, stradali), mentre sul piano interno, il grande riferimento di cornice è il Sistema Nazionale Integrato dei Trasporti (SNIT), solo in parte realizzato. I ritardi cominciano con l’iter dei processi di finanziamento e proseguono nella fase di progettazione ed esecuzione che, nel campo delle opere pubbliche, ha tempi medi di oltre 4,5 anni, per arrivare 14,5 anni per quelle opere che hanno un valore superiore ai 100 milioni di euro. La burocrazia, la legislazione pericolosa e la paura ci impediscono di spendere le risorse impegnate. Le novità introdotte dal Decreto Sblocca Cantieri, convertito in legge il 17 giugno 2019, cercano di eliminare o mitigare gli effetti di alcuni “intoppi burocratici” a livello sia locale sia nazionale. Sono passi avanti da non sottovalutare.
Sul fronte marittimo, il sistema dei porti e della logistica si confronta con l’entrata di nuovi operatori globali che intercettano e sfruttano anche i cambiamenti degli equilibri economico-politici su scala planetaria, con la Cina a dettare tempi e modalità della nuova produzione e i porti del nord Europa -Rotterdam, Anversa e Amburgo – che hanno dimensioni da 4 a 6 volte superiori ai nostri. Da un’altra parte emerge l’inspiegabile rinuncia dell’Italia al transhipment, con pesanti ricadute su alcuni porti, a cominciare da Gioia Tauro. Nel 1995 le rotte transpacifiche valevano il 53% dei transiti globali e quelle di Asia-Europa il 27%: oggi le distanze si sono praticamente azzerate con una ripartizione, rispettivamente, del 45% e del 42%. Una crescita che, diversamente da quanto accade per altri Paesi europei, sembra non toccare l’Italia.
Non solo: tra il 2011 e il 2019 il volume delle merci lungo il Canale di Suez è cresciuto del 48,8%, da 692 a 1.030 milioni di tonnellate, mentre quello del sistema portuale italiano nel complesso è diminuito dello 0,8%, da 481 a 477 milioni di tonnellate. Quindi, buona parte del traffico aggiuntivo in entrata da Suez si è diretto verso gli scali collocati lungo le coste orientali del bacino del Mediterraneo: per esempio, il traffico complessivo dei porti iberici è cresciuto del 37%. Tra i nostri punti deboli, la scarsa connettività, la modesta qualità del lavoro, e una riforma dei porti non ancora pienamente attuata. Tra le buone pratiche, invece, la digitalizzazione delle procedure per lo sdoganamento delle merci in entrata e in uscita (Agenzia delle Dogane), che ha sciolto molti nodi burocratici accelerando i tempi, e l’esperienza coraggiosa di alcuni sistemi portuali. È il caso di Trieste che, anche grazie al nuovo quadro giuridico definitosi con l’istituzione delle Autorità dei Sistemi portuali, con un piano di sviluppo coordinato con quello degli Interporti regionali, la costituzione della Free Trade Zone e una forte intermodalità, è oggi il principale accesso al mercato del Centro-Est Europa sia per i flussi del traffico oltre-Suez sia per quelli intra-mediterranei.
Molto infine c’è ancora da fare sul piano della formazione e riqualificazione del personale, e questo vale per tutto il settore dei trasporti: su un indice di 100, infatti, la quota degli occupati con competenze digitali è pari solo a 2.