15-05-2013
di Patrizia Lupi
di Patrizia Lupi
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Si chiama Maersk Triple-E. La
più grande portacontainers
del mondo. Maersk Triple-E
avrà 400 metri di lunghezza,
59 di larghezza e 73 di altezza,
potrà trasportare 18.000 container
standard, da 20 piedi
l’uno, aumentando notevolmente
la portata complessiva.
La Emma Maersk, nave “madre” della nascitura arriva a “malapena” 15.500 tonnellate. Un gigante rispetto alle otto nuove portacontainers da 8888 teu in costruzione a Shanghai, commissionate dalla OOCL Orient Overseas Container Line di Hong Kong, delle quali tre sono già state consegnate. Supererà la “Cma Cgm Marco Polo” della compagnia francese CMA CGM, già in navigazione. La portacontainer, attualmente dichiarata la maggiore del mondo, è stata anch’essa costruita dai cantieri coreani Daewoo ed è impiegata nei servizi fra Asia e Europa. 395 metri di lunghezza, 54 metri di larghezza, con immersione di 16 metri ha una portata lorda di 186.500 tonnellate e trasporta 16 mila teu. Il gigantismo navale non riguarda solo il settore containers ma anche le navi da crociera, sempre più grandi ed affollate, come la Oasis of the Seas e le gemelle della stessa classe, con i suoi con i suoi 360m di lunghezza, 47 m di larghezza, e sta sconfinando anche nel settore commerciale, dove si cerca di razionalizzare i carichi, ridurre i costi e, nella maggior parte dei casi, anche il personale di bordo. Oltre alla febbre delle meganavi dilaga la febbre dei megaporti per effetto dei lavori sul Canale di Panama che, una volta terminato, renderà più convenienti gli investimenti nelle “King Kong” degli oceani.
Avrà la meglio chi si prepara a costruire, nonostante la ripresa sia ancora lenta, banchine, fondali, attrezzature ma anche retroporti con magazzini, depositi, autostrade, ferrovie, parcheggi adeguati al gigantismo imperante. Questo rinnovato dinamismo nasce dall’attesa di trovarsi pronti, superata la crisi di questi anni, ed è confermato dai deboli segnali della ripresa. Cominciano a vedersi percentuali con il segno più. Negli Stati Uniti aumenta il volume dell’import. Cosco ha chiuso l’anno con un +9,8% movimentando oltre 55 milioni di container. I porti russi segnalano un aumento del 5,6% con 565,7 milioni di tonnellate di merci movimentate. I container sono cresciuti di oltre l’8%. Peggio a Hong Kong che nel 2012 ha perso il 5,3% ritornando a 23.097.000 teu mentre Singapore, con un più 5,7%, ha superato i trenta milioni di container, mantenendo la sua leadership mondiale. A Singapore sono 120 i gruppi di spedizioni internazionali, 170mila gli addetti e le attività marittime incidono del 7% sul PIL. Cosa accade invece in Italia? Quanti sono i container destinati all’Italia che scelgono i porti Nordeuropei, nostri diretti concorrenti insieme a quelli ormai consolidati del Mediterraneo meridionale? Secondo le stime degli operatori nel 2015 l’offerta della sponda africana del mediterraneo, con Tangeri, Port Said e Damietta in Egitto, sarà di
sette milioni di container. Secondo Fedespedi oltre un milione dei container di “competenza” italiana passano da Amburgo, Anversa e Rotterdam, perché là i tempi di sdoganamento sono certi e i meccanismi burocratici più fluidi. In termini economici quanto costa questa emorragia? Se si pensa che un container di media comporta due o trecento euro in servizi, arrivando a millecinquecento se i container sono da svuotare o riempire, il conto è presto fatto. E i porti come si organizzano? Contship annuncia la ripresa a Gioia Tauro con un +18% nel 2012 e a Cagliari con un +4%. A La Spezia, dopo cinque anni di assenza, sono tornate sulle banchine del LSCT meganavi operate direttamente dalla “K” LINE nell’ambito del servizio MD1 dall’Estremo Oriente verso il Mediterraneo. Gioia Tauro in particolare sfida il gigantismo navale operando su navi di grossa stazza. È recente l’annuncio della movimentazione in contemporanea di tre navi giganti MSC a conferma delle professionalità e del know how che il porto calabrese può vantare. La Liguria fa sistema e punta a raggiungere i sette milioni di container, a fronte dei 3,2 milioni registrati nel 2012. Genova da sola ne ha movimentato oltre due milioni e, grazie al novo Piano Regolatore Portuale, punta ad orizzonti più ampi, al raddoppio di questo numero. Voltri ne movimenta già la metà ed entro cinque anni, con il completamento dei lavori di tombamento di Calata Bettolo e di Ronco- Canepa, i numeri aumenteranno. La Spezia e Savona non rimangono indietro e presentano i loro piani di sviluppo. A Vado la piattaforma Maersk sarà un grande polmone per i container con una capacità di un milione di teu. La Spezia rinnova la fiducia al Gruppo Contship individuando nuove superfici e puntando al raddoppio dei traffici. Ma considerati questi numeri si dovrà pensare per tempo alle infrastrutture, soprattutto ai collegamenti ferroviari, sui quali si gioca il futuro degli scali e delle città nei quali sono inseriti. Se crescono le banchine, di pari passo dovrebbero crescere anche i collegamenti infrastrutturali. Ad esempio Genova. Se è partito il Terzo Valico rimane al palo la Gronda e senza questi Genova non riuscirà a governare la crescita. Lo stesso per Savona e La Spezia che possono per il futuro puntare solo sulla rotaia perché è impossibile ipotizzare un’ulteriore crescita della gomma. Inorgoglita da numeri Genova pensa di far concorrenza al Nord Europa, ma esiste la reale possibilità di saturare questi nuovi spazi? Se ancora funziona l’export, la crisi inchioda l’import per la stagnazione dei consumi. La sfida è stata comunque lanciata, sia nei confronti degli scali africani che di quelli anseatici. Certo che l’entrata in vigore in Italia da gennaio delle tasse di ancoraggio e sbarco/ imbarco delle merci non aiuta. Di fronte alla crisi Rotterdam e Anversa adottano politiche opposte: riducono le tasse.
L’Italia le aumenta e in modo repentino. Se è vero che sono state congelate per molti anni, riprendere il tempo perduto nell’arco di due anni fa correre molti rischi ai porti italiani. L’aumento del 30% da quest’anno e di un ulteriore 15% dal 2014 delle tasse di ancoraggio e delle tasse sull’imbarco e sbarco delle merci nei porti non piace alla maggior parte del cluster e rischia di far allontanare dal nostro Paese i grandi gruppi armatoriali internazionali. L’allarme è stato lanciato da Confetra-Confederazione Generale Italiana dei Trasporti e della Logistica dopo che un decreto interministeriale Trasporti-Finanze ha adeguato gli importi dei tributi portuali che erano fermi dal 1993 all’indice ISTAT dell’inflazione degli ultimi anni. Applica il dpr 107/2009 sanando, è vero, una situazione arretrata, ma il cluster chiedeva una maggior gradualità e la possibilità per i singoli porti di modulare la tassazione secondo le proprie esigenze. Perfino Assoporti, che ne beneficia direttamente, sostiene che l’aumento possa provocare una fuga verso porti stranieri. Assoporti chiede invece, con urgenza, una semplificazione amministrativa e se ne fa portavoce a Bruxelles dove il Presidente Luigi Merlo ha chiesto a Theologitis, direttore della Commissione Trasporti, la revisione complessiva delle normative, dai dragaggi alle norme ambientali, dalla trasparenza alla semplificazione amministrativa, nonché una autonomia finanziaria completa ed effettiva.
Che cosa significa in termini economici l’aumento delle tasse portuali? Per una media nave da 8.000 container di circa 100.000 tonnellate di stazza la tassa di ancoraggio mensile passa da 72 mila a 93 mila euro nel 2013 e a 104 mila euro nel 2014. La tassa annuale, da sottoscrivere con abbonamento, passa da 158 mila a 204 mila euro nel 2013 e a 228 mila euro nel 2014. Per le portacontainer in servizio di transhipment di traffico internazionale, la tassa per ogni singolo scalo passa da 13 mila a 17 mila euro nel 2013 e a 19 mila euro nel 2014. Fedespedi e Federagenti fanno eco a Confetra. Riconoscono che, purtroppo, le tasse portuali sono fra le poche entrate sulle quali possono contare le Autorità Portuali, ma si rischia di vedere vanificato il beneficio che maggiori risorse possono portare alla portualità, finalizzato all’adeguamento delle infrastrutture e al miglioramento dei servizi, a fronte di una riduzione dei traffici, come è successo per la tassa di stazionamento della nautica. Quindi, se è vero che per i porti questo significa complessivamente un maggior gettito di circa 60 milioni di euro, rimpinguando le scarse risorse che lamentano le Autorità Portuali, dall’altra l’aumento potrebbe allontanare le grandi compagnie armatoriali verso scali stranieri. L’inasprimento delle tasse potrà però essere in parte attenuato dalle Autorità Portuali che decideranno di avvalersi della facoltà di diminuire fino all’azzeramento l’importo delle tasse. Una scelta che fino ad oggi è stata operata dai porti di transhipment di Taranto e Gioia Tauro per scongiurare la fuga dei traffici verso i porti del Nord Africa ed Europei più competitivi.
Facoltà che peraltro è prevista in via transitoria e che la Legge di Stabilità 2013 ha prorogato solo fino al 30 giugno 2013. Così farà anche Trieste, lo ha annunciato le Presidente Marina Monassi che non vuole perdere quel 45% in più, registrato nell’ultimo biennio nei container. «È il risultato di una strategia privata e pubblica improntata alla crescita» spiega Monassi. «Per proseguire su questo cammino in una fase economica di profonda difficoltà, il Comitato Portuale mi ha dato mandato di disporre il differimento alla data del 1 luglio 2013 dell’applicazione dell’incremento del 33% della tassa portuale, nonché della tassa erariale e della tassa portuale per i punti franchi del porto di Trieste, previsto dal decreto interministeriale del 24 dicembre 2012. Intendiamo stare a fianco delle imprese – continua Marina Monassi – alle quali dobbiamo consentire di operare nelle migliori condizioni possibili difendendo traffici e occupazione».
La Emma Maersk, nave “madre” della nascitura arriva a “malapena” 15.500 tonnellate. Un gigante rispetto alle otto nuove portacontainers da 8888 teu in costruzione a Shanghai, commissionate dalla OOCL Orient Overseas Container Line di Hong Kong, delle quali tre sono già state consegnate. Supererà la “Cma Cgm Marco Polo” della compagnia francese CMA CGM, già in navigazione. La portacontainer, attualmente dichiarata la maggiore del mondo, è stata anch’essa costruita dai cantieri coreani Daewoo ed è impiegata nei servizi fra Asia e Europa. 395 metri di lunghezza, 54 metri di larghezza, con immersione di 16 metri ha una portata lorda di 186.500 tonnellate e trasporta 16 mila teu. Il gigantismo navale non riguarda solo il settore containers ma anche le navi da crociera, sempre più grandi ed affollate, come la Oasis of the Seas e le gemelle della stessa classe, con i suoi con i suoi 360m di lunghezza, 47 m di larghezza, e sta sconfinando anche nel settore commerciale, dove si cerca di razionalizzare i carichi, ridurre i costi e, nella maggior parte dei casi, anche il personale di bordo. Oltre alla febbre delle meganavi dilaga la febbre dei megaporti per effetto dei lavori sul Canale di Panama che, una volta terminato, renderà più convenienti gli investimenti nelle “King Kong” degli oceani.
Avrà la meglio chi si prepara a costruire, nonostante la ripresa sia ancora lenta, banchine, fondali, attrezzature ma anche retroporti con magazzini, depositi, autostrade, ferrovie, parcheggi adeguati al gigantismo imperante. Questo rinnovato dinamismo nasce dall’attesa di trovarsi pronti, superata la crisi di questi anni, ed è confermato dai deboli segnali della ripresa. Cominciano a vedersi percentuali con il segno più. Negli Stati Uniti aumenta il volume dell’import. Cosco ha chiuso l’anno con un +9,8% movimentando oltre 55 milioni di container. I porti russi segnalano un aumento del 5,6% con 565,7 milioni di tonnellate di merci movimentate. I container sono cresciuti di oltre l’8%. Peggio a Hong Kong che nel 2012 ha perso il 5,3% ritornando a 23.097.000 teu mentre Singapore, con un più 5,7%, ha superato i trenta milioni di container, mantenendo la sua leadership mondiale. A Singapore sono 120 i gruppi di spedizioni internazionali, 170mila gli addetti e le attività marittime incidono del 7% sul PIL. Cosa accade invece in Italia? Quanti sono i container destinati all’Italia che scelgono i porti Nordeuropei, nostri diretti concorrenti insieme a quelli ormai consolidati del Mediterraneo meridionale? Secondo le stime degli operatori nel 2015 l’offerta della sponda africana del mediterraneo, con Tangeri, Port Said e Damietta in Egitto, sarà di
sette milioni di container. Secondo Fedespedi oltre un milione dei container di “competenza” italiana passano da Amburgo, Anversa e Rotterdam, perché là i tempi di sdoganamento sono certi e i meccanismi burocratici più fluidi. In termini economici quanto costa questa emorragia? Se si pensa che un container di media comporta due o trecento euro in servizi, arrivando a millecinquecento se i container sono da svuotare o riempire, il conto è presto fatto. E i porti come si organizzano? Contship annuncia la ripresa a Gioia Tauro con un +18% nel 2012 e a Cagliari con un +4%. A La Spezia, dopo cinque anni di assenza, sono tornate sulle banchine del LSCT meganavi operate direttamente dalla “K” LINE nell’ambito del servizio MD1 dall’Estremo Oriente verso il Mediterraneo. Gioia Tauro in particolare sfida il gigantismo navale operando su navi di grossa stazza. È recente l’annuncio della movimentazione in contemporanea di tre navi giganti MSC a conferma delle professionalità e del know how che il porto calabrese può vantare. La Liguria fa sistema e punta a raggiungere i sette milioni di container, a fronte dei 3,2 milioni registrati nel 2012. Genova da sola ne ha movimentato oltre due milioni e, grazie al novo Piano Regolatore Portuale, punta ad orizzonti più ampi, al raddoppio di questo numero. Voltri ne movimenta già la metà ed entro cinque anni, con il completamento dei lavori di tombamento di Calata Bettolo e di Ronco- Canepa, i numeri aumenteranno. La Spezia e Savona non rimangono indietro e presentano i loro piani di sviluppo. A Vado la piattaforma Maersk sarà un grande polmone per i container con una capacità di un milione di teu. La Spezia rinnova la fiducia al Gruppo Contship individuando nuove superfici e puntando al raddoppio dei traffici. Ma considerati questi numeri si dovrà pensare per tempo alle infrastrutture, soprattutto ai collegamenti ferroviari, sui quali si gioca il futuro degli scali e delle città nei quali sono inseriti. Se crescono le banchine, di pari passo dovrebbero crescere anche i collegamenti infrastrutturali. Ad esempio Genova. Se è partito il Terzo Valico rimane al palo la Gronda e senza questi Genova non riuscirà a governare la crescita. Lo stesso per Savona e La Spezia che possono per il futuro puntare solo sulla rotaia perché è impossibile ipotizzare un’ulteriore crescita della gomma. Inorgoglita da numeri Genova pensa di far concorrenza al Nord Europa, ma esiste la reale possibilità di saturare questi nuovi spazi? Se ancora funziona l’export, la crisi inchioda l’import per la stagnazione dei consumi. La sfida è stata comunque lanciata, sia nei confronti degli scali africani che di quelli anseatici. Certo che l’entrata in vigore in Italia da gennaio delle tasse di ancoraggio e sbarco/ imbarco delle merci non aiuta. Di fronte alla crisi Rotterdam e Anversa adottano politiche opposte: riducono le tasse.
L’Italia le aumenta e in modo repentino. Se è vero che sono state congelate per molti anni, riprendere il tempo perduto nell’arco di due anni fa correre molti rischi ai porti italiani. L’aumento del 30% da quest’anno e di un ulteriore 15% dal 2014 delle tasse di ancoraggio e delle tasse sull’imbarco e sbarco delle merci nei porti non piace alla maggior parte del cluster e rischia di far allontanare dal nostro Paese i grandi gruppi armatoriali internazionali. L’allarme è stato lanciato da Confetra-Confederazione Generale Italiana dei Trasporti e della Logistica dopo che un decreto interministeriale Trasporti-Finanze ha adeguato gli importi dei tributi portuali che erano fermi dal 1993 all’indice ISTAT dell’inflazione degli ultimi anni. Applica il dpr 107/2009 sanando, è vero, una situazione arretrata, ma il cluster chiedeva una maggior gradualità e la possibilità per i singoli porti di modulare la tassazione secondo le proprie esigenze. Perfino Assoporti, che ne beneficia direttamente, sostiene che l’aumento possa provocare una fuga verso porti stranieri. Assoporti chiede invece, con urgenza, una semplificazione amministrativa e se ne fa portavoce a Bruxelles dove il Presidente Luigi Merlo ha chiesto a Theologitis, direttore della Commissione Trasporti, la revisione complessiva delle normative, dai dragaggi alle norme ambientali, dalla trasparenza alla semplificazione amministrativa, nonché una autonomia finanziaria completa ed effettiva.
Che cosa significa in termini economici l’aumento delle tasse portuali? Per una media nave da 8.000 container di circa 100.000 tonnellate di stazza la tassa di ancoraggio mensile passa da 72 mila a 93 mila euro nel 2013 e a 104 mila euro nel 2014. La tassa annuale, da sottoscrivere con abbonamento, passa da 158 mila a 204 mila euro nel 2013 e a 228 mila euro nel 2014. Per le portacontainer in servizio di transhipment di traffico internazionale, la tassa per ogni singolo scalo passa da 13 mila a 17 mila euro nel 2013 e a 19 mila euro nel 2014. Fedespedi e Federagenti fanno eco a Confetra. Riconoscono che, purtroppo, le tasse portuali sono fra le poche entrate sulle quali possono contare le Autorità Portuali, ma si rischia di vedere vanificato il beneficio che maggiori risorse possono portare alla portualità, finalizzato all’adeguamento delle infrastrutture e al miglioramento dei servizi, a fronte di una riduzione dei traffici, come è successo per la tassa di stazionamento della nautica. Quindi, se è vero che per i porti questo significa complessivamente un maggior gettito di circa 60 milioni di euro, rimpinguando le scarse risorse che lamentano le Autorità Portuali, dall’altra l’aumento potrebbe allontanare le grandi compagnie armatoriali verso scali stranieri. L’inasprimento delle tasse potrà però essere in parte attenuato dalle Autorità Portuali che decideranno di avvalersi della facoltà di diminuire fino all’azzeramento l’importo delle tasse. Una scelta che fino ad oggi è stata operata dai porti di transhipment di Taranto e Gioia Tauro per scongiurare la fuga dei traffici verso i porti del Nord Africa ed Europei più competitivi.
Facoltà che peraltro è prevista in via transitoria e che la Legge di Stabilità 2013 ha prorogato solo fino al 30 giugno 2013. Così farà anche Trieste, lo ha annunciato le Presidente Marina Monassi che non vuole perdere quel 45% in più, registrato nell’ultimo biennio nei container. «È il risultato di una strategia privata e pubblica improntata alla crescita» spiega Monassi. «Per proseguire su questo cammino in una fase economica di profonda difficoltà, il Comitato Portuale mi ha dato mandato di disporre il differimento alla data del 1 luglio 2013 dell’applicazione dell’incremento del 33% della tassa portuale, nonché della tassa erariale e della tassa portuale per i punti franchi del porto di Trieste, previsto dal decreto interministeriale del 24 dicembre 2012. Intendiamo stare a fianco delle imprese – continua Marina Monassi – alle quali dobbiamo consentire di operare nelle migliori condizioni possibili difendendo traffici e occupazione».
03/08/2015
03/06/2015