19-06-2013
Presso il Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo MAXXI di Roma, si è svolto il convengo sul rilancio della portualità e della logistica italiana organizzato da Assoporti, Federagenti, Fedespedi in collaborazione con Ambrosetti al quale è stato affidato il compito di tracciare un quadro aggiornato delle problematiche esistenti e dei fattori che continuano, cronicamente, a condizionare la competitività del sistema logistico e portuale del paese. Fattori che si chiamano inadeguatezza infrastrutturale, mancato riconoscimento del ruolo, peso esorbitante della burocrazia, visione ragionieristica della politica economica del paese. L’intero sistema Italia, infatti, ancora oggi non riesce a comprendere che senza un recupero sostanziale di efficienza su questo fronte, più d’ogni altro costretto a confrontarsi con le sfide della globalizzazione e di un nuovo ordine dell’interscambio mondiale, non esistono possibilità di rilancio per il paese.
È toccato ai tre presidenti delle associazioni che raggruppano i porti (Assoporti), gli interessi delle navi (Federagenti) e quelli della merce (Fedespedi), tracciare un quadro crudo e inquietante del settore, costretto anche a incassare ulteriori elementi di delusione sia nei contenuti del decreto del fare, sia nei nuovi provvedimenti in tema di semplificazione burocratica.
Piero Lazzeri, presidente di Fedespedi, ha sottolineato come portualità e logistica possano essere volano per crescita economica, occupazione e competitività del paese. Ha inoltre evidenziato come interventi prioritari e imprescindibili la necessità di decise azioni di semplificazione normativa e burocratica nelle procedure di import ed export delle merci per ridurre lo spread crescente fra la capacità competitiva del nostro settore e quella dei nostri partner europei.
Michele Pappalardo, presidente di Federagenti, ha rimarcato con forza l’esigenza di lanciare una grande operazione trasparenza, per far comprendere all’opinione pubblica ciò che il Palazzo continua a non capire, ovvero l’utilità e il ruolo strategico del comparto marittimo. Per anni – ha detto – nell’idea di poter vivere in un clan. Oggi è il momento di affermare con forza, in tutte le sedi e con un linguaggio diverso, che, senza i porti e senza le navi, l’Italia muore e non ha alcuna possibilità di rilancio e di ripresa economica.
Per Luigi Merlo, presidente di Assoporti, è necessario «contaminare il paese sulle priorità logistiche», chiudendo una stagione di autoreferenzialità, riformando i modelli di rappresentatività del cluster marittimo (in primis la Federazione del mare), lanciando una proposta concreta che passa attraverso un ritorno della politica su questi temi e l’abbandono di una visione ragionieristica della gestione del paese, che equivale a un suicidio. Merlo, che ha sottolineato l’importanza dello sforzo comune delle tre associazioni, ha insistito sul fatto, specie dopo un decreto sul fare che è completamente deludente per il settore, sulla necessità che il ministro dei Trasporti si riappropri della politica del settore.
Per altro lo stesso presidente di Assoporti, è intervenuto pesantemente anche sul tema dell’autonomia finanziaria delle Autorità portuali, chiedendo al sottosegretario alle Infrastrutture e ai Trasporti, Rocco Girlanda, un intervento immediato che il governo “non dotato di bacchetta magica” - come replicato da Girlanda - non sembra essere in grado di attuare. Merlo ha quindi proposto di trasferire alle Autorità portuali il demanio per patrimonializzarlo a vantaggio delle stesse Autorità portuali così come già avvenuto nei porti francesi. Si è infine detto disponibile a lavorare da subito a un testo di una vera riforma globale del settore.
Al convegno sono intervenuti anche il ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, Gianpiero D’Alia e il ministro per le Riforme costituzionali, Gaetano Quagliariello. Dopo aver entrambi insistito sui danni creati dalla cosiddetta legislazione concorrente (che pure non incide sulle scelte per i porti commerciali) e quindi sul contrasto fra Stato e Regioni generato da un federalismo imperfetto, i due ministri hanno rispettivamente (D’Alia) insistito sull’effetto positivo delle semplificazioni anche per quanto il comparto portuale e sulla necessità (Quagliariello) di una grande riforma che consenta di tagliare i tempi di approvazione delle leggi.
I DIECI PUNTI PIÙ IMPORTANTI DELLO STUDIO AMBROSETTI
Dallo studio presentato da Ambrosetti, che ha evidenziato nuovamente come anche solo un allineamento degli standard di efficienza logistica e portuali del paese alla media UE produrrebbe, a parità di traffici, benefici per 50 miliardi di euro, sono scaturiti dieci punti di analisi sul settore.
Il primo relativo al valore strategico della partita portuale e logistica, quindi al peso economico (2,6% del PIL, con 40 miliardi di euro di fatturato), al ruolo primario nel commercio mondiale (55% sul totale dell’export italiano extra UE). Quindi alla definizione non univoca del sistema portuale italiano; quindi alla necessità urgente di un intervento sulla governance della portualità; quindi sul peso delle inefficienze burocratiche, sulle opportunità generate da uno sviluppo dei traffici marittimi che oggi mortifica i porti italiani (ogni anno sono ceduti ai porti del nord Europa 441.000 container teu), sulla frammentazione della portualità nazionale in contrasto con una progressiva concentrazione dei traffici su pochi scali dimensionati per accoglierli e sugli effetti di una parallela concentrazione degli operatori destinati a controllare il mercato. Presentiamo di seguito i dieci punti dello studio.
1. I porti sono degli asset strategici per il recupero di competitività del Paese e per lo sviluppo economico in ottica sostenibile, ma manca un organico Piano Strategico Nazionale della Portualità e della Logistica che identifichi la visione per il futuro del settore declinata sulle dimensioni chiave per una efficace gestione strategica del sistema: quale domanda di traffico si vuole rispondere/intercettare, in che segmenti di mercato, con quali interconnessioni, per quali imprese/utilizzatori, con quali obiettivi (misurabili e tempificati), azioni e responsabilità.
2. Il cluster marittimo ha un peso socio-economico molto rilevante:
− 2,6% è il PIL generato, pari a quasi 40 miliardi di euro, superiore per incidenza all’industria automobilistica; − 213.000 sono gli occupati diretti impiegati complessivamente;
− 2,37 è il moltiplicatore del reddito (ogni 100 euro di nuovi investimenti o di domanda aggiuntiva di nuovi servizi, vengono generati 237 euro di ricchezza complessiva per il Paese);
− 1,73 è il moltiplicatore dell’occupazione (ogni 100 nuovi impiegati dal settore logistico-portuale, vengono attivate 173 nuove unità di lavoro nell’economia).
3. Il settore ha un ruolo primario nel commercio internazionale:
− 55% è la quota che detiene la portualità italiana sul totale delle esportazioni italiane extra-UE, pari a 100 miliardi di euro di merce che nel 2012 è partita dai porti italiani;
− 30% è la quota che detiene la portualità italiana sul totale delle esportazioni italiane mondiali, pari a circa 150 miliardi di euro di merce che nel 2012 è partita dai porti italiani;
− tra il 65% e l'80% è la quota che detiene la portualità italiana sul totale delle esportazioni italiane dirette in USA, Brasile, Cina e India.
4. Alla luce della realtà in essere – per caratteristiche, vocazioni, esigenze e assetto – non è univocamente definibile un "Sistema Portuale Italiano", anche se spesso la dicitura è riportata nei documenti di studio, dove il riferimento è piuttosto lessicale che sostanziale. Su questo si inseriscono criticità a più livelli nel sistema della governance del settore.
5. È necessario e non più rimandabile un intervento legislativo al fine di rendere la governance della portualità, i meccanismi di regolazione e i processi di investimento adeguati alle esigenze (anche di tempistiche), allineandoli alle best practice internazionali. La legge in vigore che regola la governance dei porti italiani è del 1994, quando i flussi mondiali, le shipping company, le dinamiche competitive, le modalità di trasporto, l'apertura dei mercati e il livello di sviluppo economico era strutturalmente differente da quello attuale.
6. Le inefficienze della burocrazia pesano sul settore (e sull'Italia):
− 17 sono i giorni medi per l'esportazione della merce dai porti italiani, rispetto ad una media UE di 11 giorni. I porti spagnoli e i porti francesi del Mediterraneo, competitor diretti dei porti italiani, operano con un vantaggio rispettivamente di 8 e 6 giorni e – potenzialmente – potrebbero essere in grado di sottrarre traffico in uscita dall'Italia;
− 1 giorno di ritardo, in media, nel transito di un prodotto corrisponda una flessione del commercio di almeno l’1% nell'arco di un anno. Riportando questo valore sull'Italia si stima come per ogni giorno di ritardo il danno sul commercio internazionale dell'Italia sia pari a 7,5 miliardi di euro l'anno;
− il commercio internazionale del nostro Paese potrebbe aumentare di circa 50 miliardi di euro, se l'Italia si allineasse alla media europea, cioè guadagnasse in media 6/8 giorni nelle operazioni di sbarco e imbarco.
7. I traffici marittimi internazionali sono in aumento, ma nodi e connessioni non adeguate e inefficienze impediscono di servire questi traffici, causando progressive perdite di quote di mercato: ogni anno la portualità italiana cede 441.000 TEUs del proprio traffico ai principali porti del Northern Range, come emerge dal Piano Nazionale della Logistica.
8. La portualità italiana si posiziona al terzo posto a livello europeo con una movimentazione superiore a 480 milioni di tonnellate. Tuttavia, in classifica i primi porti italiani, Genova e Trieste, si collocano al 15° e 16°. Non è il numero dei porti che determina la capacità di attrarre e gestire traffico del Paese, ma è l'efficienza del complesso portuale.
9. A livello internazionale si osserva una progressiva concentrazione dei traffici in pochi e grandi porti, con una progressiva marginalizzazione dei porti più piccoli. Gli studi in letteratura e le indagini effettuate hanno evidenziato come il dimensionamento dell'infrastruttura portuale e del volume dei traffici gestiti rappresentano i due elementi fondamentali nelle scelte del porto da parte delle shipping company.
10. Il processo di concentrazione si evidenzia anche tra gli operatori dove si registra un aumento significativo delle dimensioni a scapito degli operatori più piccoli che vengono emarginati gradualmente dal business:
− il fatturato delle prime aziende di logistica in Italia si è attestato a circa 8 miliardi di euro nel 2011, mentre era di 3,7 miliardi di euro nel 2004;
− 3 sono le imprese o gruppi italiani che si posizionano nella classifica dei primi 10 operatori della logistica in Italia;
− il controllo del trasporto internazionale delle merci nei porti italiani è in mano a compagnie straniere. La quota di mercato nei porti italiani gestita da operatori italiani si attesta a meno del 3% nel traffico container, sotto il 13% nel general cargo, al 18% nelle rinfuse.
È toccato ai tre presidenti delle associazioni che raggruppano i porti (Assoporti), gli interessi delle navi (Federagenti) e quelli della merce (Fedespedi), tracciare un quadro crudo e inquietante del settore, costretto anche a incassare ulteriori elementi di delusione sia nei contenuti del decreto del fare, sia nei nuovi provvedimenti in tema di semplificazione burocratica.
Piero Lazzeri, presidente di Fedespedi, ha sottolineato come portualità e logistica possano essere volano per crescita economica, occupazione e competitività del paese. Ha inoltre evidenziato come interventi prioritari e imprescindibili la necessità di decise azioni di semplificazione normativa e burocratica nelle procedure di import ed export delle merci per ridurre lo spread crescente fra la capacità competitiva del nostro settore e quella dei nostri partner europei.
Michele Pappalardo, presidente di Federagenti, ha rimarcato con forza l’esigenza di lanciare una grande operazione trasparenza, per far comprendere all’opinione pubblica ciò che il Palazzo continua a non capire, ovvero l’utilità e il ruolo strategico del comparto marittimo. Per anni – ha detto – nell’idea di poter vivere in un clan. Oggi è il momento di affermare con forza, in tutte le sedi e con un linguaggio diverso, che, senza i porti e senza le navi, l’Italia muore e non ha alcuna possibilità di rilancio e di ripresa economica.
Per Luigi Merlo, presidente di Assoporti, è necessario «contaminare il paese sulle priorità logistiche», chiudendo una stagione di autoreferenzialità, riformando i modelli di rappresentatività del cluster marittimo (in primis la Federazione del mare), lanciando una proposta concreta che passa attraverso un ritorno della politica su questi temi e l’abbandono di una visione ragionieristica della gestione del paese, che equivale a un suicidio. Merlo, che ha sottolineato l’importanza dello sforzo comune delle tre associazioni, ha insistito sul fatto, specie dopo un decreto sul fare che è completamente deludente per il settore, sulla necessità che il ministro dei Trasporti si riappropri della politica del settore.
Per altro lo stesso presidente di Assoporti, è intervenuto pesantemente anche sul tema dell’autonomia finanziaria delle Autorità portuali, chiedendo al sottosegretario alle Infrastrutture e ai Trasporti, Rocco Girlanda, un intervento immediato che il governo “non dotato di bacchetta magica” - come replicato da Girlanda - non sembra essere in grado di attuare. Merlo ha quindi proposto di trasferire alle Autorità portuali il demanio per patrimonializzarlo a vantaggio delle stesse Autorità portuali così come già avvenuto nei porti francesi. Si è infine detto disponibile a lavorare da subito a un testo di una vera riforma globale del settore.
Al convegno sono intervenuti anche il ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, Gianpiero D’Alia e il ministro per le Riforme costituzionali, Gaetano Quagliariello. Dopo aver entrambi insistito sui danni creati dalla cosiddetta legislazione concorrente (che pure non incide sulle scelte per i porti commerciali) e quindi sul contrasto fra Stato e Regioni generato da un federalismo imperfetto, i due ministri hanno rispettivamente (D’Alia) insistito sull’effetto positivo delle semplificazioni anche per quanto il comparto portuale e sulla necessità (Quagliariello) di una grande riforma che consenta di tagliare i tempi di approvazione delle leggi.
I DIECI PUNTI PIÙ IMPORTANTI DELLO STUDIO AMBROSETTI
Dallo studio presentato da Ambrosetti, che ha evidenziato nuovamente come anche solo un allineamento degli standard di efficienza logistica e portuali del paese alla media UE produrrebbe, a parità di traffici, benefici per 50 miliardi di euro, sono scaturiti dieci punti di analisi sul settore.
Il primo relativo al valore strategico della partita portuale e logistica, quindi al peso economico (2,6% del PIL, con 40 miliardi di euro di fatturato), al ruolo primario nel commercio mondiale (55% sul totale dell’export italiano extra UE). Quindi alla definizione non univoca del sistema portuale italiano; quindi alla necessità urgente di un intervento sulla governance della portualità; quindi sul peso delle inefficienze burocratiche, sulle opportunità generate da uno sviluppo dei traffici marittimi che oggi mortifica i porti italiani (ogni anno sono ceduti ai porti del nord Europa 441.000 container teu), sulla frammentazione della portualità nazionale in contrasto con una progressiva concentrazione dei traffici su pochi scali dimensionati per accoglierli e sugli effetti di una parallela concentrazione degli operatori destinati a controllare il mercato. Presentiamo di seguito i dieci punti dello studio.
1. I porti sono degli asset strategici per il recupero di competitività del Paese e per lo sviluppo economico in ottica sostenibile, ma manca un organico Piano Strategico Nazionale della Portualità e della Logistica che identifichi la visione per il futuro del settore declinata sulle dimensioni chiave per una efficace gestione strategica del sistema: quale domanda di traffico si vuole rispondere/intercettare, in che segmenti di mercato, con quali interconnessioni, per quali imprese/utilizzatori, con quali obiettivi (misurabili e tempificati), azioni e responsabilità.
2. Il cluster marittimo ha un peso socio-economico molto rilevante:
− 2,6% è il PIL generato, pari a quasi 40 miliardi di euro, superiore per incidenza all’industria automobilistica; − 213.000 sono gli occupati diretti impiegati complessivamente;
− 2,37 è il moltiplicatore del reddito (ogni 100 euro di nuovi investimenti o di domanda aggiuntiva di nuovi servizi, vengono generati 237 euro di ricchezza complessiva per il Paese);
− 1,73 è il moltiplicatore dell’occupazione (ogni 100 nuovi impiegati dal settore logistico-portuale, vengono attivate 173 nuove unità di lavoro nell’economia).
3. Il settore ha un ruolo primario nel commercio internazionale:
− 55% è la quota che detiene la portualità italiana sul totale delle esportazioni italiane extra-UE, pari a 100 miliardi di euro di merce che nel 2012 è partita dai porti italiani;
− 30% è la quota che detiene la portualità italiana sul totale delle esportazioni italiane mondiali, pari a circa 150 miliardi di euro di merce che nel 2012 è partita dai porti italiani;
− tra il 65% e l'80% è la quota che detiene la portualità italiana sul totale delle esportazioni italiane dirette in USA, Brasile, Cina e India.
4. Alla luce della realtà in essere – per caratteristiche, vocazioni, esigenze e assetto – non è univocamente definibile un "Sistema Portuale Italiano", anche se spesso la dicitura è riportata nei documenti di studio, dove il riferimento è piuttosto lessicale che sostanziale. Su questo si inseriscono criticità a più livelli nel sistema della governance del settore.
5. È necessario e non più rimandabile un intervento legislativo al fine di rendere la governance della portualità, i meccanismi di regolazione e i processi di investimento adeguati alle esigenze (anche di tempistiche), allineandoli alle best practice internazionali. La legge in vigore che regola la governance dei porti italiani è del 1994, quando i flussi mondiali, le shipping company, le dinamiche competitive, le modalità di trasporto, l'apertura dei mercati e il livello di sviluppo economico era strutturalmente differente da quello attuale.
6. Le inefficienze della burocrazia pesano sul settore (e sull'Italia):
− 17 sono i giorni medi per l'esportazione della merce dai porti italiani, rispetto ad una media UE di 11 giorni. I porti spagnoli e i porti francesi del Mediterraneo, competitor diretti dei porti italiani, operano con un vantaggio rispettivamente di 8 e 6 giorni e – potenzialmente – potrebbero essere in grado di sottrarre traffico in uscita dall'Italia;
− 1 giorno di ritardo, in media, nel transito di un prodotto corrisponda una flessione del commercio di almeno l’1% nell'arco di un anno. Riportando questo valore sull'Italia si stima come per ogni giorno di ritardo il danno sul commercio internazionale dell'Italia sia pari a 7,5 miliardi di euro l'anno;
− il commercio internazionale del nostro Paese potrebbe aumentare di circa 50 miliardi di euro, se l'Italia si allineasse alla media europea, cioè guadagnasse in media 6/8 giorni nelle operazioni di sbarco e imbarco.
7. I traffici marittimi internazionali sono in aumento, ma nodi e connessioni non adeguate e inefficienze impediscono di servire questi traffici, causando progressive perdite di quote di mercato: ogni anno la portualità italiana cede 441.000 TEUs del proprio traffico ai principali porti del Northern Range, come emerge dal Piano Nazionale della Logistica.
8. La portualità italiana si posiziona al terzo posto a livello europeo con una movimentazione superiore a 480 milioni di tonnellate. Tuttavia, in classifica i primi porti italiani, Genova e Trieste, si collocano al 15° e 16°. Non è il numero dei porti che determina la capacità di attrarre e gestire traffico del Paese, ma è l'efficienza del complesso portuale.
9. A livello internazionale si osserva una progressiva concentrazione dei traffici in pochi e grandi porti, con una progressiva marginalizzazione dei porti più piccoli. Gli studi in letteratura e le indagini effettuate hanno evidenziato come il dimensionamento dell'infrastruttura portuale e del volume dei traffici gestiti rappresentano i due elementi fondamentali nelle scelte del porto da parte delle shipping company.
10. Il processo di concentrazione si evidenzia anche tra gli operatori dove si registra un aumento significativo delle dimensioni a scapito degli operatori più piccoli che vengono emarginati gradualmente dal business:
− il fatturato delle prime aziende di logistica in Italia si è attestato a circa 8 miliardi di euro nel 2011, mentre era di 3,7 miliardi di euro nel 2004;
− 3 sono le imprese o gruppi italiani che si posizionano nella classifica dei primi 10 operatori della logistica in Italia;
− il controllo del trasporto internazionale delle merci nei porti italiani è in mano a compagnie straniere. La quota di mercato nei porti italiani gestita da operatori italiani si attesta a meno del 3% nel traffico container, sotto il 13% nel general cargo, al 18% nelle rinfuse.
03/08/2015
03/06/2015